Il pezzo era già pronto e chi scrive ne era già moderatamente fiero. Capita raramente di poter partecipare in prima persona alla messa in opera di un progetto musicale tra un grande sassofonista e un nucleo di strumentisti di casa nostra. Al Festival Jazz di Chiasso, che quest’anno aveva come filo conduttore il tema «BRASS erie», era stato previsto infatti di presentare in prima assoluta la composizione Em Lisboa di Andy Sheppard. Gli esecutori avrebbero dovuto essere il quartetto del sassofonista inglese (composto da Eivind Aarset alla chitarra, Michel Benita al contrabbasso, Mario Costa alla batteria) coadiuvato, e questa era la notizia più interessante, dagli ottoni della SMUM: Danilo Moccia, Francesco Negrisolo, Enrico Dal Prato, tromboni: Marco Gadda, trombone basso; Emilio Soana, Alessio Camino e Silvio Pontiggia alle trombe.
Grazie alla disponibilità di Danilo Moccia e alla simpatica tolleranza dei suoi colleghi, avevamo avuto la possibilità di partecipare alla prima prova in cui i musicisti di casa nostra si misuravano con gli spartiti di Sheppard, qualche settimana fa. Un’occasione interessante per raccogliere le opinioni e le impressioni su questo progetto che si inserisce in un filone ormai sempre più collaudato di «collaborazioni a distanza» tra gruppi musicali.
I brani originali composti dal sassofonista nascono da un desiderio di mettere in musica la sua esperienza vissuta percorrendo le strade di Lisbona. Em Lisboa può quindi essere ritenuto un paesaggio sonoro, in cui immagini e sensazioni vengono riprodotte attraverso una musicalità molto vivace e ritmicamente stimolante. Alcuni titoli stessi dei sei brani previsti rendono conto di questa loro componente documentaria: Riding to Alfama; Love Song Of Santo Isidoro, Dreamkeepers of Barrio Alto. Tutti, possiedono un carattere piuttosto diverso a quanto Sheppard ci ha abituati. Da quanto abbiamo avuto modo di ascoltare in fase di prova, i pezzi possiedono un suono rotondo e solare, che sfrutta in modo particolarmente efficace le voci degli ottoni, creando un’atmosfera molto nitida e «latina» grazie al timbro e alla compattezza del loro apporto ritmico-armonico.
«Non è un jazz complicato» ci aveva spiegato Danilo Moccia. Dall’alto della sua esperienza di leader in formazioni di ottoni (si vedano i suoi bei dischi con la band Slidestream) il trombonista ticinese è stato un po’ il maestro di cerimonie del gruppo: «E anzi» ha precisato «in certi momenti potrebbe anche non sembrare jazz». I pezzi infatti disegnano atmosfere «impressionistiche», di sottofondo, su cui si immagina il sax di Sheppard recitare la parte del leone, come è logico, eseguendo temi e improvvisazioni.
«Per questa sua nuova creazione Sheppard recluta a distanza la necessaria sezione di ottoni nel luogo in cui viene chiamato a suonare, di volta in volta. Poi invia al gruppo prescelto la partitura e alcuni files audio, con cui la sezione può provare l’arrangiamento. Si vede che la composizione è recente: gli spartiti sono ancora in una forma quasi di bozza, “in elaborazione”». Una volta ascoltati i pezzi, pare di capire che il ruolo degli accompagnatori sarà tutto sommato abbastanza semplice; i maestri lo confermano. Eppure per noi è stato particolarmente interessante assistere a questa prova «di sezione». Ai momenti di musica di insieme si alternavano numerose parti di silenzio, in cui l’unica cosa «da sentire» era lo schioccare metronomico delle dita di Moccia. Erano le parti riservate al nucleo originale del gruppo, il cui contributo in quella serata di prova diventava un’ossatura fantasmatica, immaginaria e per questo ancora più affascinante.
All’interno della grande sala da concerto della SMUM, tra strumenti e attrezzature musicali disseminate un po’ ovunque, la prova dei musicisti (disposti in sezione proprio come quando suonano nell’orchestra) assumeva una fisionomia informale, rilassata, ma molto «operativa». A pensarci con il senno di poi, si trattava di una vera anteprima «invisibile» del Festival di Chiasso, a cui chi scrive ha avuto il privilegio di assistere, seppure in forma embrionale. E del resto è sempre bello vedere la «meccanica del jazz» da dietro le quinte e osservare questi maestri affrontare una partitura certo ritmicamente e armonicamente complessa con grande souplesse e facilità. È una chiara dimostrazione di come, alle nostre latitudini, la cultura musicale in questo contesto specifico sia perfettamente all’altezza con esperienze musicali di rilievo internazionale. Una conferma in più della spiccata vocazione jazzistica del Ticino e del suo patrimonio didattico.
Prima del concerto, ormai annullato, del 13 marzo, gli ottoni della SMUM avrebbero avuto ancora la possibilità di tenere due prove a Chiasso con Sheppard e con gli altri musicisti. Sarebbe stato il momento in cui mettere a punto i dettagli finali dell’esecuzione. «Per ora non sappiamo se ci sarà per noi la possibilità di eseguire qualche assolo, durante il concerto. Saranno cose decise in quel momento e discusse con Sheppard» ci aveva spiegato Moccia, nutrendo però un certa sicurezza sulla disponibilità del compositore a lasciare spazio ai suoi partner ticinesi. Ora invece si tratterà di vedere se il Festival di Chiasso, nel momento in cui l’emergenza da Coronavirus sarà rientrata, potrà trovare il modo di ripresentare agli spettatori il suo cartellone dedicato agli ottoni. Lo speriamo vivamente.