Fin dalla sua ascesa all’interno del panorama della musica leggera internazionale, quel particolare genere di pop-rock definito come «elettronica» (o, in alcuni casi, «elettropop»), ha conosciuto fasi alterne di popolarità e qualità intrinseca, alternandosi tra i fasti rappresentati dalla ricerca stilistica di artisti raffinati e innovativi e le più bieche operazioni commerciali di largo consumo. Se, infatti, è anche troppo facile scambiare questo specifico genere per semplice musica dance, o confonderlo con la ben più datata (e assai meno ricercata) discomusic, è altrettanto vero che non capita spesso di incontrare, in tale ambito, performer della raffinatezza e versatilità stilistica dei Goldfrapp, l’intrigante duo britannico composto dalla vocalist Alison Goldfrapp e dal musicista Will Gregory; ed è proprio questa forte personalità ad aver permesso alla formazione di rimanere un nome di riferimento nell’ambito «elettronico» fin dai tempi dell’eccellente esordio Felt Mountain (2000). Infatti, il background musicale di Alison (che spazia dal rock d’autore al surrealismo della musica da cabaret e delle ballate nordeuropee alla Serge Gainsbourg) permette alle melodie del duo, eseguite quasi esclusivamente con l’ausilio dei sintetizzatori, di toccare perfino la musica ambient e il synthpop anni ’80 – come dimostrato anche da quest’ultimo sforzo, Silver Eye, ricco di suggestioni che richiamano la chill-out music.
Sfortunatamente, però, come spesso accade di questi tempi, i brani destinati ai passaggi radiofonici promozionali tendono ad andare «sul sicuro», evitando di offrire all’ascoltatore sensazioni troppo dissimili da ciò che questi potrebbe aspettarsi: tale è anche il caso di Anymore, singolo di lancio di Silver Eye – il quale, sebbene tutt’altro che disprezzabile, rappresenta un esempio non particolarmente sorprendente di «tormentone» synthpop dal ritornello orecchiabile e vagamente ossessivo; cosa che, pur non togliendo nulla alla qualità intrinseca del pezzo, probabilmente farà sì che questo primo assaggio dell’album stenti a entusiasmare i fan più smaliziati del duo. Altrettanto poco convincente risulta Everything Is Never Enough, sorta di ibrido tra il pop radiofonico di largo consumo e la disco-dance più ballabile: una strizzata d’occhio al sound commerciale che ben poco si addice allo stile dei Goldfrapp, come dimostrato anche da Systemagic, altra traccia che, in maniera ben poco sottile, ammicca ad atmosfere di tipo mainstream.
Di conseguenza, non è probabilmente un caso se, una volta lasciati da parte i brani prescelti per la promozione su larga scala di Silver Eye, ritroviamo finalmente delle sonorità e una profondità compositiva molto più vicine a ciò a cui i Goldfrapp ci hanno abituato: così, pezzi suggestivi e vibranti come Tigerman e, soprattutto, Moon in Your Mouth, ci riportano a quella sottile inquietudine che il repertorio della formazione raramente manca di trasmettere, grazie soprattutto alle atmosfere vagamente oniriche e «otherworldly» tipiche del synth di Gregory (qui ulteriormente favorite da una linea melodica in qualche modo reminiscente di hit pop quali il tormentone White Flag di Dido). Ma la traccia più d’effetto è forse Zodiac Black, vera e propria epopea di ritmi inquietanti e sotterranei, dalle tinte oscure e quasi gotiche; mentre l’intensa ballata Beast That Never Was, che richiama lontanamente i Radiohead prima maniera, riporta il mood della tracklist su suggestioni di stampo più cantautorale e vicine alla forma canzone tradizionale – come accade anche con il lento, piccolo capolavoro di dolente intimismo e languida introspezione. Purtroppo, però, il CD non è esente dalla presenza di qualche brano definibile come «riempitivo», quale ad esempio il francamente ridondante Become the One; ma fortunatamente, l’ultima impressione è quella data dall’ipnotico Ocean, pezzo cantilenante e un po’ ossessivo che chiude in bellezza l’album.
Certo, si potrebbe dire che anche stavolta, come accade del resto con la maggior parte dei dischi pubblicati nell’ambito della scena pop-rock angloamericana degli ultimi anni, Silver Eye offra ben poco di nuovo o inaspettato all’ascoltatore; e con questo non si intende affatto sminuire la qualità artistica dell’album – che, con l’eccezione di qualche scivolata «commerciale», rimane in ogni caso piuttosto elevata – ma semplicemente constatare come questo lavoro, per i Goldfrapp, rappresenti poco più che una conferma: una dimostrazione di come, dopo la virata folk-sinfonica dell’album Tales of Us (2013), la formazione sia ancora in grado di sedurre gli appassionati dell’elettronica pura, grazie alla sua innata abilità nell’intessere atmosfere inquietanti e cariche di conturbante, seppur dolorosa, introspezione. Anche per questo, tuttavia, i fan del duo rimarranno certo più che soddisfatti della nuova fatica discografica, senz’altro foriera di buoni auspici per il futuro di uno tra i nomi più intriganti dell’attuale scena britannica.