Dove e quando
Giuliano Collina. La vita in studio. Ascona, Museo Comunale d’Arte Moderna. Fino al 7 maggio 2017. Orari: ma-sa 10.00-12.00, 14.00-17.00, do 10.30-12.30, lunedì chiuso. museoascona.ch


Scarti di vita votati alla bellezza

Al Museo Comunale di Arte Moderna di Ascona le opere e la ricerca di Giuliano Collina
/ 18.04.2017
di Eliana Bernasconi

In un tempo che sembra sancire la «morte clinica» dell’arte, l’immagine, sequestrata da altri media più in voga come fotografia, video, installazioni, performance, sembra non trovare più posto, e «questa tendenza alla soppressione è un sintomo del nostro tempo». Scrive così Massimo Recalcati in Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti dove afferma che «la pittura si muove sullo stesso terreno della psicoanalisi, entrambe impegnate nella rappresentazione dell’inesprimibile, poiché l’opera d’arte intrattiene sempre un rapporto con l’assoluto delle cose». Eppure, conclude lo psicoanalista che sull’arte contemporanea ha molto riflettuto negli ultimi decenni: «il miracolo della pittura resiste».

Pur dando pieno riconoscimento al valore di queste tendenze contemporanee, Giuliano Collina, nato nel 1938, appartiene a una generazione che comprende ancora veri artisti che dialogano quasi esclusivamente con la tela, testimoni di una continuità storica che ci traghetta nel futuro. Residente a Como, Collina si forma e inizia a esporre nella Milano degli anni 60, in un clima artistico culturale vivo come non mai, ricco di fermenti.

Le gallerie fanno conoscere la pop art americana, l’informale internazionale, l’espressionismo astratto, la nuova figurazione, inevitabilmente tutto ciò si rispecchia nelle sue prime opere. Ogni artista è contraddistinto da una sua poetica, che in Collina non prescinde mai totalmente dall’oggetto, cui resta fedele nei mutamenti della ricerca e nei continui passaggi di sperimentazioni tecniche. La sua è una poetica rivolta agli oggetti di uso comune anche se periodicamente contempla soggetti sacri come gli spazi del corpo umano, della crocifissione e il tema dell’angelo, mediatore di confini sconosciuti. Attinge quindi alla realtà del quotidiano e ad oggetti di uso comune come la sedia o la tazzina di caffè, a frammenti di paesaggio lariano o a interni dove le figure umane appaiono come sospese in uno spazio architettonicamente indefinito.

La sua pittura, dove il segno continuamente opera su un tessuto di luce, è caratterizzata, scrive Enrico Crispolti «da una intrinseca espressività materico-cromatica». La valorizzazione e sacralizzazione degli oggetti quotidiani che si fanno universali non si discosta molto dal tipo di operazione che ha compiuto nelle recenti opere, del 2015 e 2016, in mostra ad Ascona. Anche in esse si attribuisce valore totale e in fondo si sacralizzano le cose quotidiane, gli scarti, quelli che solitamente finiscono nella spazzatura. Ma attenzione, qualcosa li differenzia: è esclusivamente con gli avanzi di materiale dei suoi lavori che l’artista ha creato opere che anche per questo motivo sono originali e uniche. È questo il singolare messaggio della mostra, fondata su un’attualissima, intima economia del riciclo. Ma non si tratta qui degli «objet trouvé» picassiani o di quanto proponevano gli esponenti delle avanguardie negli anni 60 e 70, utilizzando rottami industriali o scarti di vita quotidiana, e nemmeno della pratica iniziata con gli artisti del dadaismo, sebbene il lavoro di Collina si inserisca in parte in questa tradizione per l’accostamento di materiali diversi.

Collina non avrebbe potuto approdare anni fa a questa soluzione espressivo stilistica che è frutto di maturità, dominio della materia e della tecnica, padronanza del mezzo, sperimentazione incessante. Dieci anni or sono, ci ha raccontato, appendendo al muro dei residui sgocciolanti di smalto fresco solo perché si asciugassero prima di gettarli nella spazzatura, si è accorto che tutti questi pezzi, nel loro accostarsi e casualmente comporsi in modi sempre diversi acquistavano vita autonoma e prendevano un senso. Ha cominciato allora a conservarli e ad utilizzarli sistematicamente, e così sono nate queste opere. Oggi nel suo ampio studio, dove nitore estremo e organizzazione smentiscono il cliché dell’artista caotico e disordinato, conserva tutti questi resti in cartelle. Ha chiamato il ciclo dei collages, tutti del 2015-2016 Le Cose Avanzate (LCA), o meglio, come specifica: «Con le cose avanzate».

Gli accostamenti sono diversi tra di loro: ritagli di tele, brandelli di dipinti scartati, cartoni, alluminio, carte da imballaggio, stracci arrotolati, filo di ferro, fondi di barattoli, fogli di quotidiani coperti di lucidi macchie utilizzati come tavolozza. La Zucca è eseguita con carta straccia e smalto rovesciato su pagine di giornale, in Orto botanico un sacco di plastica contorto si fa germoglio e gli schizzi di vernice sulla carta semi. Il tessuto logoro di una vecchia maglietta è una grande campitura stesa sulla carta bianca e si intitola Mar Rosso, mentre La scopa del diavolo raccoglie fili di ferro, ritagli meccanici, carta straccia, plastica.

In tutte le opere si intuisce la leggerezza ironica del gioco, lo stupore divertito della scoperta nel riagganciarsi a un’infanzia perduta con la quale ogni vero artista conserva un misterioso canale. Oggi la perfezione della riproduzione fotografica sostituisce quasi la visione diretta, ma non in questi lavori che sono quasi tattili, percepibili con i sensi.

Anche se può suonare eccessivo, si pensa a quanto scriveva Walter Benjam sull’opera d’arte, unica e irripetibile nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.