Dove e quando
Margherita Sarfatti, Segni, colori e luci a Milano, Museo del Novecento, Milano. Fino al 24 febbraio 2019. www.museodelnovecento.org
Margherita Sarfatti, Il Novecento Italiano nel mondo, Mart, Rovereto. Fino al 24 febbraio 2019. www.mart.trento.it 

Margherita Sarfatti a bordo dell’aeroplano Golden Ray, 1930


Sarfatti, critica e donna d’antan

A Milano e a Rovereto si ricorda la complessa figura della femminista, attivista e critica d’arte Margherita Sarfatti
/ 28.01.2019
di Ada Cattaneo

Capita che, per meglio capire grandi eventi della storia, sia necessario soffermarsi sulle vicende private dei protagonisti. Non è necessario indulgere nel pettegolezzo, nella storia romanzata. Ma perché non concedersi qualche incursione puntuale nella vita di personaggi esuberanti, che brillano più di altri per la loro vivacità? Scendendo nel dettaglio privato, affiorano le molte sfaccettature, spesso imprevedibili, di un periodo che non abbiamo vissuto: così, per un attimo, anche le cronologie e le classificazioni scolastiche diventano superflue.

La vita di Margherita Sarfatti (1880-1961) sfugge ad ogni definizione: dai ricordi delle lezioni di Storia dell’arte, il suo nome riaffiora spesso, a proposito del primo Novecento in Italia. La curiosità si accende quando si scopre della sua importanza come storica dell’arte, in un mondo che non eccelleva proprio per le pari opportunità. Le anomalie e le continue (apparenti) contraddizioni si moltiplicano appena ci si addentri nella sua biografia.

Margherita, nata Grassini, è un’ebrea veneziana, appartenente alla più influente élite lagunare. Nel 1898 sposa l’avvocato Cesare Sarfatti, con cui si trasferisce a Milano nel 1902 e dal quale avrà tre figli: la loro relazione viene impostata in maniera libertaria, senza vincoli di fedeltà reciproca. Giovanissima si avvicina al socialismo: a questa ideologia rimarrà sempre legata, pur venendo biasimata per l’incapacità di rinunciare ai privilegi che la sua posizione sociale le concede. 

È proprio nel solco del socialismo che, nel 1912, inizia la frequentazione con Mussolini: i due sono accomunati da posizioni politicamente più radicali e interventiste rispetto ai compagni di partito e presto iniziano una relazione sentimentale che durerà – con fasi alterne – fino al finire degli anni Venti. Come è presumibile, il contributo di Margherita all’ascesa di Mussolini e, con esso, al fascismo, è molto più ampio di quanto la storia ufficiale riconosca.

Egli si avvantaggia dei contatti internazionali di lei e dei molti articoli che la Sarfatti scrive sull’ascesa fascista per la stampa estera. I consigli di Margherita, i suoi spunti teorici sono determinanti per definire l’identità fascista e lo stesso vale per la propaganda che, come è noto, avrà un ruolo determinante nel successo del dittatore. È proprio la Sarfatti a scrivere la biografia di Mussolini – Dux (1925) – che riscuote grande successo sia in Italia, che in molti altri paesi. 

Ma l’intricata relazione fra i due si interrompe nei primi anni Trenta: la promulgazione delle Leggi razziali verrà di lì a poco e la presenza della Sarfatti non è più gradita. Peraltro, lei non aveva mai approvato l’alleanza con Hitler e vedeva piuttosto l’opportunità di legarsi agli americani, fronteggiando il pericolo tedesco grazie all’intervento della Società delle Nazioni. L’impegno fascista per l’ottenimento di colonie italiane in Africa, poi, era una scelta non condivisa dalla Sarfatti. Si aggiunge a tutto questo il debito nei confronti di una donna – ebrea – a cui Mussolini non voleva più riconoscere alcun merito e neppure concedere libertà d’iniziativa.

Accanto alle vicende politiche, si dipana l’esperienza storico artistica di Margherita, attraverso la quale riesce a ragione a guadagnare un ruolo di primo piano. È una grande conoscitrice della storia dell’arte antica e moderna e scrive con assiduità articoli di critica fin dal 1901. Ma anche qui, dai resoconti dei colleghi del mondo dell’arte, dalle lettere degli artisti, sembra emergere una figura ingombrante, che spesso riesce d’impaccio. D’altronde, desiderava essere più di una semplice spettatrice: come avrebbe potuto farsi largo in quel mondo se non con un po’ di aggressività?

Fu lei a sostenere e rendere possibile la costituzione del gruppo «Novecento», che riuniva Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e, il suo preferito, Mario Sironi. Dopo il successo del gruppo alla Biennale di Venezia del 1924, Margherita si fa teorica di questa estetica dettata da una «moderna classicità»: una definizione che porta ancora in sé la componente di contraddizione, di ossimoro. Al primo nucleo di artisti, si aggiungono nomi come Carrà, Casorati, De Chirico, Morandi e molti altri. La linea che congiunge ognuno di loro è l’estetica improntata alla conoscenza del canone classico, ma che non scade mai in una sterile imitazione.

È la Sarfatti a porre i presupposti perché si possa parlare di un vero e proprio movimento artistico, anche con un’intensa attività per propagandare ed esportare questa tendenza dell’arte italiana in tutta Europa: tra le altre, ebbero grandissimo successo le mostre al Musée Rath di Ginevra, al Kunsthaus di Zurigo (con manifesto di Mario Sironi e catalogo di Ulrico Hoepli) e nelle Kunsthalle di Berna e Basilea. Ma il Regime mal sopporta le abilità diplomatiche della Sarfatti, la sua intraprendenza e a metà degli anni Trenta lo stesso Mussolini le impedirà di continuare con l’attività espositiva. La parabola di Margherita Sarfatti è ormai discendente: le leggi razziali le imporranno la fuga e l’esilio. Morirà nel 1961, in una villa di famiglia a pochi chilometri dal Ticino.

A una giusta distanza dal ventennio fascista, anche l’arte che fu prodotta in quell’epoca, sotto l’egida del regime, può trovare una sua collocazione ed essere apprezzata per i suoi meriti puramente estetici. Lo stesso percorso di storicizzazione vale per la vicenda di Margherita Sarfatti, narrata in una mostra a Milano, presso il Museo del Novecento di Piazza del Duomo. L’esposizione prende il via dall’attività giornalistica e politica, con documenti di grandissimo interesse dal fondo Sarfatti, conservato presso il MART di Rovereto: l’accredito stampa per l’esposizione universale di Milano del 1906, la tessera di iscrizione al partito socialista, le ultime foto del figlio Roberto, morto in guerra e celebrato dalla madre con un monumento commissionato a Giuseppe Terragni, e molto altro.

Ma il grande merito del percorso espositivo è quello di restituire il valore della Sarfatti in quanto storica dell’arte e attivista politica, sia nell’ambito del socialismo, che del femminismo. Nonostante l’allestimento non sia particolarmente riuscito, risulta interessante – accanto a dipinti e sculture – l’aggiunta di vestiti e di arredi d’epoca, che contribuiscono a dare un’impressione d’insieme dell’ambiente frequentato dalla protagonista. Donna capace e pensante, in quegli anni difficili da etichettare dal punto di vista intellettuale, Margherita Sarfatti viene riletta in maniera rigorosa, senza mai essere relegata al ruolo di «amante di Mussolini» e ritrovando una sua coerenza, pur nella contraddizione.