Carlo Rizzetti, Emicrania, 2001, plastica

Dove e quando

Crackers. Opere scelte degli artisti di Cracking Art. Must Gallery, Lugano. Fino al 28 febbraio 2018. La galleria è visitabile su appuntamento

www.mustgallery.ch


Rompere con l’arte

Alla Must Gallery di Lugano una collettiva dedicata ai Crackers
/ 29.01.2018
di Alessia Brughera

Nel 1993, a Biella, nasceva il collettivo artistico Cracking Art. Un manifesto, definito dagli stessi membri «di fine millennio», ne decretava l’ideologia di base fondata «sullo studio e sull’analisi delle origini antropologiche delle materie fossili, il petrolio, e l’utilizzo in forma artistica dei suoi derivati plastici», mentre una mostra dal titolo «Epocale», allestita a Milano con la curatela di Tommaso Trini e Luca Beatrice, ne sanciva il pubblico debutto.

Uno dei fondatori del movimento, e uno dei suoi teorici fino al 2008, è stato Omar Ronda, scomparso poche settimane fa, artista e  prima ancora gallerista, fin dagli anni Sessanta attivo nell’organizzazione di importanti rassegne che hanno avuto il merito di portare in Italia, fra gli altri, i lavori degli esponenti internazionali della Pop Art e del Minimalismo. Il gruppo è attualmente composto da Alex Angi, Kicco, Renzo Nucara, Carlo Rizzetti, William Sweetlove e Marco Veronese, uniti dal comune intento di «cambiare radicalmente il mondo artistico attraverso un forte impegno sociale e ambientale e l’uso rivoluzionario di materie plastiche diverse ed evocative di un rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale».

Un messaggio, questo, racchiuso nel nome stesso che gli artisti hanno scelto per definire il loro percorso collettivo, espressione della volontà di infrangere le regole dell’arte proponendo idee innovative strettamente legate alla contemporaneità. Nella decisione di chiamare il movimento Cracking Art non c’è solo l’esplicito richiamo all’atto di rompere, spezzare, incrinare («to crack»), ma anche un riferimento a quel processo che trasforma il petrolio grezzo in plastica, definito in gergo chimico «cracking catalitico». Proprio la materia plastica, inorganica e facilmente plasmabile, diventa componente d’elezione per le opere dei Crackers, simbolo del mondo odierno in continuo mutamento e caratterizzato da una profonda contrapposizione tra biologico e sintetico.

Consapevoli dell’inesorabile incedere dell’artificiale, i membri della Cracking Art uniscono all’attrattiva per un materiale dalle grandi potenzialità formali il desiderio di salvaguardare l’elemento naturale a partire da un approccio esteticamente responsabile: «Rigenerare la plastica significa sottrarla alla distruzione tossica e devastante per l’ambiente donandole nuova vita», affermano gli artisti, «farne delle opere d’arte significa comunicare attraverso un linguaggio estetico innovativo esprimendo una particolare sensibilità nei confronti della natura».

La dimensione corale del gruppo trova espressione nelle grandi installazioni in polietilene concepite per invadere piazze, centri commerciali, autostrade ed edifici pubblici, contesti urbani popolari scelti perché è proprio lì che si annida la convenzionalità del quotidiano: rane, tartarughe, chiocciole, suricati, pesci, rondini e coccodrilli, esagerati nelle misure, stilizzati nelle forme e vivaci nei colori, diventano lo strumento per sollecitare ludicamente la città ridisegnandone gli spazi e modificandone il percepito.

Accanto al lavoro collettivo, ciascun componente porta avanti anche un’intensa ricerca individuale che gli permette di rielaborare e declinare in maniera personale tutti gli elementi condivisi a livello comunitario. Una mostra allestita nelle sale della Must Gallery di Lugano si sofferma proprio sul cammino che i sei artisti hanno intrapreso in maniera indipendente rivelando come ognuno di loro sia approdato a esiti peculiari. Attraverso un nucleo di opere realizzate nei primi anni Duemila la rassegna rivela infatti come l’amore per le tinte sgargianti, l’utilizzo pressoché esclusivo di materiali plastici e la predilezione per un’estetica insofferente nei confronti delle regole contraddistinguano sì le creazioni di tutti gli artisti, ma trovino nei lavori delle singole personalità un modo differente per manifestarsi.

Ecco allora le «giungle» e i «virus» plastici di Angi, dinamiche e coloratissime strutture che sembrano propagarsi nello spazio; le «molecole» di Kicco, microcosmi artificiali popolati da fiori e animali, vere e proprie stratificazioni di materia e di significati; i «resinfilm» di Nucara, in cui piccoli oggetti di recupero si mescolano a pigmenti e resine dando vita ad animati universi fluttuanti; le rigogliose sculture in plastica di Rizzetti, decorate con un’esuberanza senza limiti che sa ironicamente fondere cultura e ordinaria quotidianità per generare nell’osservatore un effetto straniante; le clonazioni animali di Sweetlove in resina epossidica, ricercati allestimenti che richiamano un mondo sempre più in bilico tra biologico e sintetico; le raffinate «contaminazioni» di Veronese, luoghi quasi spirituali dove immagini prelevate dai capolavori della storia dell’arte del passato vengono condotte in un inedito contesto dalla forte valenza allegorica.

Le opere di questi artisti esortano a interpretare la realtà in un nuovo modo, tra il gioco e la contestazione, tra la ricerca simbolica e quella estetica, tra la brama di un ritorno alla natura, sempre evocata, e l’accettazione del suo ineluttabile soccombere all’avanzata dell’artificiale.