Rolling Stones, fascino da cover

Dopo oltre un decennio di silenzio, il ritorno dei Rolling Stones ci riporta alle radici della loro formazione musicale
/ 02.01.2017
di Benedicta Froelich

A eccezione dei fan più fedeli e accaniti, sono in molti ad aver dimenticato come ai suoi esordi, nei primi anni 60, la storica rock band britannica dei Rolling Stones fosse una delle più promettenti formazioni blues in circolazione: a inizio carriera, quello di Mick Jagger & Co era infatti il complesso che, più di qualunque altro, incarnava alla perfezione la risposta europea alla grande lezione blues e black statunitense, avendo assimilato e assorbito gli insegnamenti di performer immortali del calibro di Muddy Waters e Bo Diddley a tal punto da modellare il proprio stile musicale quasi interamente su tali presupposti.

Così, non deve sorprendere se, all’alba del 2016 – dopo un silenzio discografico durato ormai undici anni, ma riscattato da un’attività live sempre eccellente – la più iconica band inglese di sempre ha deciso di tornare in circolazione con un vero e proprio tributo alle proprie radici musicali: un album dall’eloquente titolo di Blue & Lonesome – il quale riunisce in soli due aggettivi, da sempre associati alla musica blues, una perfetta descrizione di un genere che, non a caso, prende il nome proprio dal termine «blue», ovvero «malinconico».

E si tratta di un lavoro che, dalla prima all’ultima traccia, rappresenta per la band un glorioso e divertito «ritorno alle origini», esemplificato da una selezione di autentici classici: dodici brani firmati da nomi di prim’ordine dell’universo blues, da Buddy Johnson a Memphis Slim e Howlin’ Wolf, in una selezione che mantiene fino in fondo la promessa implicita in un progetto di questo tipo – ovvero, quella della più immediata e sincera spontaneità e dell’obbligo sottinteso di impiegare uno stile il più possibile scarno e naturale, senza l’ausilio di alcun filtro o overdub riconducibile all’ipertecnologica post-produzione comune nei dischi di oggi. Un dettaglio non da poco, confermato dal fatto che, seppur inciso in studio, Blue & Lonesome è stato registrato secondo un approccio «dal vivo» e nell’arco di appena tre giorni, riflettendo lo spirito diretto ed estemporaneo di queste tracce brevi e immediate, la cui stessa natura compositiva punta a colpire l’ascoltatore fin dalle prime note. 

Così, la forza del disco sta proprio nel riflettere appieno questo spirito di liberatoria e vivace potenza performativa, all’interno del quale uno dei pezzi più efficaci è senz’altro il nervoso Just Your Fool – un breve e accattivante esempio di classico tormentone blues nella più pura tradizione USA, non a caso prescelto dalla band come singolo apripista dell’album. La stessa energia elementare e irresistibile la si ritrova non solo in pezzi travolgenti quali Ride ’Em On Down – reso celebre dall’improbabile videoclip «on the road» interpretato da Kristen Stewart – e l’irresistibile Commit a Crime, ma anche in un brano da sogno come I Can’t Quit You Baby, in cui, anche grazie al sempre eccelso apporto di Eric Clapton, troviamo un esempio magistrale di come un blues autentico e dal successo garantito dovrebbe suonare. E la magia si ripete con un esempio ben più «sporco» e selvaggio quale Everybody Knows About My Good Thing, anch’esso sostenuto dal contributo di Clapton, stavolta alla slide guitar. Tuttavia, il disco riesce a proporre delle vere e proprie gemme anche per quanto riguarda brani più meditativi e complessi, come accade con una splendida versione di Little Rain, classico cofirmato dall’iconico Jimmy Reed, e con la title track Blue and Lonesome; anche perché, da parte sua, Jagger sembra dare fiato all’armonica meglio di quanto abbia mai fatto in vita sua, sottolineando una volta di più come questo disco trovi gli Stones in un vero e proprio stato di grazia, probabilmente favorito dalla natura ludica di un simile progetto. 

L’unico difetto che si può ascrivere a un lavoro di questo tipo sta, naturalmente, nel fatto che questo resta, dalla prima all’ultima traccia, un album di cover, e di conseguenza la formazione non si cimenta con alcun brano originale con il quale mettere alla prova il proprio ritrovato feeling blues; e dal momento che l’ultimo disco della band, A Bigger Bang, risale al lontano 2005, non si possono biasimare troppo quei fan di Jagger & Co. che avrebbero preferito veder ricompensata la propria pazienza con un lavoro composto da tracce inedite.

Eppure, il fatto che, nell’arco della loro pur lunga carriera, i Rolling Stones non avessero mai, prima di oggi, ceduto alla facile tentazione del sovente abusato «cover album», dovrebbe, in fondo, riconciliarci con l’odierna scelta commerciale della band; anche perché l’amore con cui il gruppo ha gestito questo compito va ben oltre l’abituale cura e professionalità che è lecito aspettarsi da performer di tale calibro. Il che, oltre a testimoniare il vigore e il brio che ancora pervadono gli ultrasettantenni membri del gruppo, spinge a ben sperare anche per le prossime avventure discografiche di quello che è ormai un vero caposaldo del rock, del quale nessun serio appassionato potrebbe più fare a meno.