Erede della tradizione realistica americana, incarnata dalle nitide visioni dei «precisionisti» attivi tra le due guerre, l’Iperrealismo si sviluppa negli Stati Uniti verso la metà degli anni Sessanta del Novecento per poi diffondersi in Europa un decennio più tardi. Molto apprezzata da collezionisti e mercanti (benché giudicata negativamente dalla critica), questa corrente, caratterizzata da un virtuosismo tecnico esasperato, si basa su immagini della realtà viste attraverso l’occhio fotografico. Neutrale oggettività, limpida messa a fuoco dei soggetti, rappresentazione di dettagli ravvicinati (secondo un gusto mutuato dalla Pop Art) e predilezione per colori di una fredda luminosità sono i tratti salienti dei lavori iperrealisti che contribuiscono a definirne l’atmosfera di immutabile sospensione.
Tra gli artisti d’oltreoceano impegnati a creare dipinti «più reali del reale» figurano Richard Estes, Chuck Close e Ralph Goings, abili nell’analizzare gli elementi della realtà in maniera asettica, senza alcuna partecipazione emotiva, al fine di riprodurli in modo talmente minuzioso da ammantarli di una certa inquietudine. Le opere che ne derivano rivelano un’iperrealtà che nemmeno l’occhio è in grado di cogliere, mettendo in discussione la scienza visiva e potenziando le qualità di ogni forma.
La cura maniacale dei particolari e l’impeccabile tecnica pittorica di matrice iperrealista contraddistinguono anche i dipinti di Enrico Ghinato, artista di Rovigo, nato nel 1955, a cui l’Imago Art Gallery di Lugano dedica in questi giorni una rassegna che raccoglie una quindicina di sue tele.
Il pittore rodigino incomincia a formarsi artisticamente molto giovane, mostrando interesse, non a caso, per i maestri fiamminghi, nelle cui opere era forte l’intento mimico della realtà che portava all’esaltazione analitica delle cose. Il passo successivo, per lui, è accostarsi proprio all’Iperrealismo americano, a cui si sente affine nel rendere una definizione sorprendente del reale.
Seppur prossima a queste ricerche, però, la pittura di Ghinato prende una direzione peculiare che si allontana dalla volontà di ingannare totalmente la percezione dell’osservatore suscitando in lui una sensazione di straniamento. Perché se è vero che nel trattamento meticoloso di ciò che l’artista colloca in primo piano nelle sue composizioni permane l’effetto iperrealista, l’illusione visiva cessa di esistere quando la scena si fa più ampia, lasciando che sullo sfondo essa sveli la sua natura prettamente pittorica. Ecco allora che dietro alla capacità di ammaliare lo spettatore con la perfezione e il virtuosismo del segno non c’è l’intenzione di replicare il reale secondo un’ottica distaccata e fuorviante ma di allestire una sua rappresentazione ben riconoscibile.
I temi prediletti da Ghinato sono automobili fiammanti e vetrine chic, simbolo di un universo metropolitano dinamico ed elegante. Soggetti, questi, scelti per la possibilità che offrono di studiare le volumetrie, le tinte e le prospettive attraverso i riflessi, veri protagonisti delle opere dell’artista. Anche in questo si ritrova una vicinanza agli iperrealisti statunitensi, che spesso si sono misurati con iconografie analoghe dipingendo vetture e negozi con un’attenzione ossessiva per il gioco di riverberi generati da carrozzerie e vetrine. Vengono alla mente gli scorci metropolitani di Richard Estes popolati da superfici specchianti che creano ricercate illusioni ottiche, le sfavillanti auto da corsa di Ron Kleemann e i pick-up di Ralph Goings posteggiati solitari di fronte a un McDonald’s o a una sala da biliardo.
Nelle opere di Ghinato automobili d’epoca e di lusso palpitano di riflessi, restituendo il mondo circostante sulle fiancate, sui cofani e sui fanali. In Blue Aurelia B52 PF200 1953, Villa d’Este, del 2016, la scintillante vettura sembra quasi sfilare accompagnata da due eleganti donne che camminano al suo fianco, sulla carrozzeria i bagliori metallici si fondono con gli elementi distorti del reale. Nella tela GTB4 Rosso, dello stesso anno, la fiammante Ferrari è percorsa da lame di luce che si mescolano al paesaggio urbano rispecchiato sulla superficie. Le macchine dalle linee sinuose e perfette dipinte dall’artista deformano la realtà rendendola indefinita, come se appartenesse a una dimensione instabile e sfuggente che fa da contraltare alla loro solida bellezza.
In opere quali Venezia. Handbag, del 2016, o Paris. Rue Saint-Honoré, del 2017, sono le vetrine delle vie più esclusive delle grandi città ad animare la scena con riflessi e trasparenze. Spesso, in questi lavori, allo statico interno del negozio in primo piano, dove appaiono in tutta la loro immobilità i manichini e la merce esposta, si contrappone il vivace e irrequieto mondo esterno rispecchiato nel vetro. Nel sovrapporsi di immagini riflesse e rifratte Ghinato rende labili i confini tra due mondi opposti, e li unisce in simbiosi per evocare un’unica realtà.