Ci vuole coraggio a misurarsi con i fratelli Ethan e Joel Coen. Ancor di più con il bellissimo film Fargo. Più di vent’anni sono passati, ricordiamo la statua del montanaro con l’accetta e la camicia a scacchi e sotto la scritta «Welcome to Brainerd». Ricordiamo Frances McDormand poliziotta incinta, l’unica che non ha rivolgimenti di stomaco osservando le scene del crimine. Ricordiamo il gangster Steve Buscemi che cerca di far sparire un cadavere triturandolo nella macchina per far la segatura (un piede rimasto fuori serve da pestello per agevolare l’operazione).
Pausa. Fermi tutti. Già sembra di sentire la domanda: c’è bisogno di tanta violenza? Corollario: basta con queste serie americane, non esistono storie più edificanti da proporre? Andiamo con ordine, la violenza. Disse il serissimo studioso Jan Kott del Tito Andronico by William Shakespeare: «Un altro atto, e comincerebbero a morire gli spettatori delle prime file». Nei cinque atti precedenti, il catalogo è questo: mani mozzate, una lingua tagliata, un pasticccio di carne umana, sgozzamenti e ammazzatine con ritmi che oggi diremmo – sbagliando – da videogioco. Lo chiamiamo classico perché lo è, perché i cattivi sono sempre più interessanti dei buoni – a confermarlo ci sono secoli di letteratura. Non è una buona idea, detto per inciso, neppure togliere gli occhi dalle fiabe: poi va a finire che non si riconoscono quando li hai davanti nella vita.
Quanto alle serie americane, ultimo bersaglio prediletto da chi pensa «stavamo meglio prima» – sognando come Umberto Eco un mondo dove per fare serata viene buono Kant – in questi decenni ci hanno regalato grandi storie. I Soprano è a tutti gli effetti un grande romanzo americano contemporaneo. Lost con tutti i suoi difetti è stata l’ultima delle «robinsonate» che hanno riproposto il fascinoso mito del naufrago. Il racconto dell’ancella ha riproposto un romanzo quasi dimenticato di Margaret Atwood, facendone la bandiera delle donne contro Donald Trump.
Fargo – intendiamo la serie ispirata al film, la terza stagione in onda sulla RSI dal 10 gennaio scorso – va inquadrata così. Ora sappiamo che è riuscita benissimo, come le due precedenti. All’inizio fu una scommessa rischiosa. I fratelli Coen diedero il beneplacito al copione, già scritto dal coraggioso Noah Hawley. Se ancora avete dubbi sul fatto che gli sceneggiatori – vale per le serie ma anche per i film – siano scrittori a tutti gli effetti provate a leggere Prima di cadere, il suo romanzo pubblicato da Einaudi (e molto ben tradotto da Marco Rossari, anche lui scrittore). Provateci quando avete tempo a disposizione: difficile staccarsi dalla storia del jet privato che precipita al largo di New York, con eccellenti passeggeri a bordo.
L’astuto Noah Hawley ha deciso per una serie antologica, a ogni stagione cambiano i personaggi e anche l’epoca, la vicenda si esaurisce in una decina di puntate. Scelta accolta con gioia dagli spettatori che non hanno troppa pazienza (iniziare certe serie può essere un impegno di mesi, non fatevi trascinare dal binge watching ora di moda, finisce come Woody Allen: fa un corso di lettura veloce per leggere Guerra e pace e poi sa dire solo «parla della Russia»). Nonché – tecnicamente – dettata dall’alto tasso di mortalità dei personaggi.
Fargo (la serie) conserva le atmosfere di Fargo (il film). Perfettamente imitate, per parlare di cinema, anche dallo strepitoso film di Martin McDonagh Tre manifesti a Ebbing, Missouri (ne ha già parlato su queste pagine Fabio Fumagalli). Era tanto che non si ammirava una storia tanto ben scritta e ben recitata – da Frances McDormand candidata all’Oscar, in zona premi sono anche Sam Rockwell e Woody Harrelson. Era tanto che non si ammiravano personaggi tanto complessi. È uno dei motivi chi ci hanno fatto rifugiare nelle serie, ma torniamo volentieri al grande schermo quando ne vale la pena.
La prima stagione di Fargo era ambientata nel 2006, la seconda stagione faceva un salto indietro fino al 1979, sotto la presidenza di Ronald Reagan. La terza, con Ewan McGregor che si sdoppia nel gemello cattivo e nel gemello buono – già premiato con un Golden Globe – è ambientata nel 2010 (sempre in Minnesota). Il manifesto mostra una serie di francobolli – leggi: il bottino agognato. Nelle stagioni precedenti erano un quadretto a piccolo punto e un lavoro a maglia – leggi: le virtù casalinghe e la tentazione del denaro facile, già intrecciate nel racconto di Mark Twain L’uomo che corruppe Hadleyburg.