Nell’ambito di quelli che, per un critico musicale, sono i (numerosi) ascolti di un’intera annata discografica, chi scrive non può negare di sperimentare un sentimento ricorrente: quel senso di sottile smarrimento, per non dire di rabbia, che si finisce inevitabilmente per provare ogniqualvolta artisti musicali di talento vengano relegati in secondo piano perché non abbastanza appariscenti, chiassosi e glamorous da soddisfare i gusti del pubblico più frivolo e superficiale. Si sa, la macchina del successo commerciale finisce spesso per ignorare, o comunque trascurare, coloro che non si uniformano; tanto che la musica dell’eccellente band americana dei The National – fondata a Cincinnati nel 1999 e con alle spalle la pubblicazione di sette album – è sempre stata definita dalla stampa come «rock alternativo», anche se tale definizione sembra avere più a che fare con la posizione relativamente defilata e marginale adottata dal frontman Matt Berninger e dai suoi, che non con una reale connotazione stilistica.
Infatti, seppure ben più raffinato e rarefatto della media, in termini squisitamente musicali l’American rock dei The National non differisce poi troppo dalle proposte di certe formazioni use a conquistare le classifiche internazionali; tuttavia, è probabile che la finezza ed eleganza delle liriche – e, soprattutto, la sottile malinconia e marcata inquietudine tipiche di ogni brano firmato dal gruppo – abbiano un effetto destabilizzante sul pubblico medio, ormai assuefatto a canzoni perlopiù innocue e dallo spirito «usa e getta». Ciò ha sicuramente avuto ripercussioni sulla popolarità della formazione, la quale, pur riscuotendo ottimi successi in patria, non ha mai del tutto sfondato nella vecchia Europa, almeno non quanto si sarebbe potuto sperare; tuttavia, il cosiddetto zoccolo duro di devoti ammiratori ha avuto buoni motivi per accogliere con gioia questo nuovo Sleep Well Beast, primo album della band da quattro anni a questa parte.
In effetti, il CD si presenta come una sorta di compendio di quanto i The National hanno prodotto durante tutto l’arco della loro carriera: la cosa si fa evidente sin dall’eccellente apertura del disco, affidata a un brano toccante come Nobody Else Will Be There, vibrante di sonorità livide e quasi spettrali. In effetti, il gruppo sembra intenzionato a valorizzare sempre di più la componente elettronica del proprio sound, orientandosi ormai quasi esclusivamente su tappeti sonori a base di sintetizzatori e campionamenti a computer; lo dimostra anche un pezzo come Day I Die, che richiama le suggestioni di brani ormai storici quali Bloodbuzz Ohio e Terrible Love (entrambi tratti dall’ottimo High Violet, datato 2010). Un discorso simile si può fare per il lento Walk It Back e, soprattutto, per The System Only Dreams in Total Darkness – traccia che, fin dal titolo, costituisce un perfetto esempio del genere di atmosfere sottilmente destabilizzanti e disperate a cui Berninger e i suoi sono in grado di dar vita come nessun altro, pur senza dimenticare di intessere ritornelli seducenti e sonorità accattivanti (e, per certi versi, perfino orecchiabili).
Ma gli «highlight» del disco rimangono senz’altro pezzi struggenti come Born to Beg, Guilty Party e Dark Side of the Gym: lenti angoscianti nella migliore tradizione dei brani più dolorosi e malinconici composti dalla band, e caratterizzati dall’ipnotica, irresistibile ossessività tipica dei The National – un elemento della loro cifra stilistica, in effetti, simbolico dell’eccellenza musicale della formazione, tuttora in grado di strutturare intere canzoni su ritmi ripetitivi e quasi alienanti, senza mai rischiare di tediare l’ascoltatore. Un altro «centro perfetto» è Carin at the Liquor Store, ballata amara che ricorda vagamente la splendida Pink Rabbits di qualche anno fa e in cui, come già avvenuto in precedenza, Matt si rivolge direttamente, e con tono a dir poco straziante, alla figura femminile di turno – per intenderci, quella che per anni è stata la fantomatica Jennifer, o Jenny, più volte citata sia in High Violet che nel successivo Trouble Will Find Me (2013).
Certo, bisogna ammettere che, seppur si tratti di un album a dir poco esemplare, dal punto di vista stilistico e tematico Sleep Well Beast non offre, da parte della band, nessuna reale novità; eppure, considerando la continua, progressiva mercificazione a cui molti gruppi rock americani stanno oggi andando incontro, vi è comunque un palpabile senso di sollievo nel constatare come la formazione dell’Ohio sia rimasta fedele alla propria visione, resistendo alla facile tentazione di «svendersi» in cambio di un maggiore successo commerciale. E per una volta tanto, l’integrità artistica sembra aver fruttato, dal momento che oggi Sleep Well Beast risulta avere un posto nella lista degli attuali best-seller musicali stilata dal colosso amazon.com: un segnale che fa ben sperare per il futuro, non solo dei The National, ma anche dell’alternative rock in generale.