Anche quest’anno le colline turgoviesi che circondano Frauenfeld su cui sono adagiate placide fattorie centenarie, per tre giorni hanno fatto da anfiteatro naturale al rimbombo dei bassi, da habitat a circa 50’000 ragazzi (Frauenfeld è un festival per giovanissimi), e da contrappunto quasi surreale a un palco che ha ospitato tutta una serie di star della musica, tra cui molte provenienti da quei moderni ghetti occidentali che da noi si chiamano quartieri popolari e negli USA «projects», e sono alquanto famigerati.
I ragazzi sono tutti in shirts e shorts e hanno l’aria assai innocua a dire il vero, in contrasto quasi stridente con i testi che intonano. Le ragazze, come sempre più smaliziate dei loro coetanei, sono tutte con una medesima acconciatura a doppia treccia, sebbene questa non sia ispirata al paesaggio bucolico, come verrebbe forse ingenuamente da pensare, bensì alle star globali del reality, le sorelle Kardashian-Jenner. Quelle stesse sorelle che vengono spesso citate nei testi delle canzoni a Frauenfeld, anche perché nutrono un’aperta predilezione per alcuni importanti esponenti del rap, come Kanye West, Tyga o French Montana.
Durante il giorno la voglia di ballare è forse attutita – nonostante i 51 (!) concerti in programma – a causa delle temperature tropicali; poco male però, perché le grandi star, quelle che sbancano il Billboard, YouTube e Spotify, che spopolano tra i giovani a suon di fb, meme e hashtag, entrano comunque in scena solamente a partire dal tardo pomeriggio, quando l’atmosfera scivola gradualmente verso temperature più sostenibili e la voglia di sentire dal vero artisti come Usher and The Roots, Travis Scott, Weeknd, G-Eazy, o Bushido e Marteria (star germanofone dell’hiphop) si trasforma in una collettiva frenesia emozionata.
Il popolo di Frauenfeld è figlio di prima generazione della tecnologia, e per questo ne conosce mezzi, vezzi e richiami. Quando Desiigner (divenuto celebre a 19 anni grazie al tormentone Panda e all’aiuto di Kanye West) invita il pubblico a salire sul palco, e si fanno avanti in centinaia, tanti da finire per nascondere l’artista di Atlanta e costringere gli organizzatori a interrompere il concerto, nessuno si scompone. Grandi strascichi non ci sono nemmeno dopo la reazione di Travis Scott: quando un ragazzo del pubblico gli sfila dal piede una Yeezy, Scott ha un accesso di rabbia e aizza il pubblico contro il ladruncolo, invocando proprio quella violenza («Fuck him up») che i detrattori rinfacciano a questo genere musicale.
Tra le grandi star di quest’anno spiccano due fratelli del Mississippi, Khalif «Swae Lee» e Aaquil «Slim Jxmmi», alias Rae Sremmurd, che dalla loro esibizione a Frauenfeld del 2015 di strada ne hanno fatta molta. Forse Rae Sremmurd (che non è altro che il contrario di Ear Drummers, la loro etichetta) non è un nome che ai più dica molto, ma basti sapere che sono stati fra gli indiscussi protagonisti del web per aver dato la colonna sonora a uno dei contest più celebri: era loro la Black Beatles del Mannequin contest. E proprio la provocazione di chiamarsi «Black Beatles», lanciata da due minuti afroamericani stratatuati, sprizzanti energia e turpiloquio, ha dato adito a una polemica (in rete, ovviamente) planetaria. I Fab Four sono solamente i quattro di Liverpool, con quale arroganza dunque due senzatetto che hanno fatto della festa, dei party e dello sballo il loro mandato primario, e che propongono testi non proprio ricercatissimi in cui spesso bitch fa rima con rich, osano tirare in ballo i mostri sacri della musica? (Per dovere di cronaca: Paul McCartney al Mannequin contest ha partecipato!)
Ma come hanno dimostrato in concerto, fra un lancio di ananas e mille saluti alla Svizzera, fra una capriola e un duetto con Lil Yachty, i rampolli adottivi del megaproduttore Mike Will (che firma molte loro canzoni) sono in tutto e per tutto figli della nostra epoca. Il concerto non poteva dunque che aprirsi con l’inno alla gioia Start a Party, brano di apertura di SremmLife 2, album per il quale si sono scomodati anche «The New York Times» e «The Guardian». Rae Sremmurd fanno un genere ibrido, in bilico tra rap e trap, dance e melodico. «Inclusive rap» lo chiamano Oltreoceano, proprio per quella forza trascinatrice, magnetica e ipnotica che li contraddistingue, per la capacità di interagire con il pubblico (e l’interazione va avanti, tra un concerto e l’altro, incessantemente, sui social), per il talento di creare espressioni e linguaggi nuovi. No Type o Flex Zone, sono ormai molto più (o molto meno) di una canzone, quanto più dei mantra da gridare in coro: «I own my own money so I spend it how I like».
Al loro secondo lavoro SremmLife 2 è stato anche rimproverato un calo di energia e creatività, che però con il tempo (anche se qui si parla di settimane, siamo nella social media speed culture) si è rivelato un percorso di maturità, come dimostra la nuova Unforgettable, realizzata insieme a French Montana, e il cui video è stato girato negli slum di Kampala, Uganda, quasi a testimoniare anche un viaggio «back to the roots» dei due fratelli. Come d’altronde conferma anche il brano Came a long Way, dove si racconta di due afroamericani dei projects, a un certo punto senzatetto, che mai avrebbero pensato un giorno di potersi scatenare contro Trump davanti a milioni di giovani, né di dettarne ritmi e modi di dire, tantomeno di navigare letteralmente nell’oro. Ma che ora, a poco più di 20 anni, lo fanno, divertendosi e divertendo.