Quelle virgole come la gramigna

La lingua batte - Riflessione su un elemento dell’ortografia molto spesso trascurato o, al contrario, piuttosto esasperato
/ 22.07.2019
di Laila Meroni

Una pagina, un testo, parole che si rincorrono lungo le linee. È un ordine rigoroso soltanto in apparenza, quello che si crea sulla pagina. Durante la lettura tutto fila liscio; provate però a sfocare l’immagine, ad allargare il campo visivo espandendolo oltre le singole parole: ecco che il testo (l’italiano si presta in modo particolare, a differenza ad esempio del tedesco) si anima, di un movimento ondivago appena percettibile. E si trasforma, ricordando una fotografia in bianco e nero di un prato lasciato libero di fiorire come vuole e di fare le sue scelte.

Fra le parole, fra le lettere, respirando fra uno spazio e l’altro, crescono e vivono in armonia i «fiori» appartenenti alla specie della Punteggiatura: virgole, punti e virgola, punti, hanno iniziato molto tempo fa a donare chiarezza ai testi scritti, così che la lettura diventasse meno gravosa.

Della virgola, la «piccola verga», si vuole riflettere qui in particolare: un filo d’erba del grande prato, che tuttavia a volte sembra volerlo soffocare. Troppo spesso accade infatti di imbattersi in testi in cui qualche virgola si trasforma in gramigna infestante: sono quelle che si insinuano fra soggetto e predicato, o fra verbo e complemento (queste inutili interruzioni, mozzano il respiro, creando, una spiacevole sensazione di fastidio grammaticale: ecco, proprio di questi mostriciattoli stiamo parlando, senza voler toccare per carità la legittimità delle licenze poetiche, o quelle virgole eccezionali che in realtà come un ponte aiutano la lettura quando la distanza tra soggetto e predicato è notevole). Stiamo parlando di erbacce che purtroppo si ritrovano qua e là anche in contesti prestigiosi e inaspettati, forti di lunghe tradizioni editoriali, e che guastano il sapore del pensiero scritto e del racconto trasmesso.

Non tutto è da demonizzare nell’era del messaggio breve che cavalca l’onnipresente telefono cellulare, ma certo la frenesia delle dita che massaggiano lo schermo dà sfogo al desiderio di velocità a scapito di quello della comunicazione; là la punteggiatura è stata soppiantata dalle faccine. Così accade che, di fronte alla necessità o all’occasione di scrivere un vero testo, molti cadano nella tentazione di utilizzare la virgola in abbondanza, seguendo una curiosa legge del contrappasso; come in un prato lasciato alla libera fantasia della natura l’occhio può essere tratto in inganno da due vegetali simili ma diversi per la presenza di sostanze benefiche o venefiche, così nel testo si infilano virgole ingannevoli, infingarde, che mirano a dividere l’indivisibile secondo l’analisi logica, presentandosi al contrario come l’orpello che promette bellezza estetica alla frase.

No. Con la punteggiatura non si scherza. O si rischia di mettere in pericolo il valore stesso del pensiero messo nero su bianco sulla pagina. Nei lettori più severi e meno indulgenti potrebbe crescere la tentazione di cancellare la magia del prato in fiore con una colata di catrame.