Quella luce così diversa

Grazie alla rassegna Black Light alla scoperta di opere poco note
/ 12.08.2019
di Nicola Falcinella

Luci nere che illuminano un cinema conosciuto solo in parte. È la retrospettiva «Black Light», che quest’anno il Festival di Locarno non dedica a un grande regista del passato, ma al cinema fatto dai neri e sui neri. Sono passati esattamente cento anni dal primo film di un autore di colore, l’afroamericano Oscar Micheaux che realizzò The Homesteader, tratto da un suo romanzo e oggi perduto. Scrittore intraprendente che andava di porta in porta a vendere i suoi libri, fino al 1948 realizzò, con alterne fortune, più di quaranta film, oggi non più rintracciabili. Sempre del 1919 è Within Our Gates (il titolo riprende un verso del libro del Deuteronomio) la sua opera seconda che ha inaugurato il ciclo locarnese, curato dall’americano Greg de Cuir jr e che vede anche la pubblicazione di un volume per Capricci. Micheaux con The Exile del 1931 firmò anche il primo film sonoro di un afroamericano. Dello stesso anno Borderline di Kenneth MacPherson con Paul Robeson, altra figura di spicco tra gli intellettuali e gli artisti di colore. Una storia di coppie, tradimenti e pregiudizi che vengono a galla o si alimentano.

La robusta selezione di quasi cinquanta titoli realizzati fino al 2000 mette insieme opere diverse, un ampio sguardo rivolto al Sudamerica, ai Caraibi, all’Europa, evitando l’Africa, concentrandosi invece sulle terre della diaspora, dove gli africani sono stati spesso portati come schiavi.

La sezione riunisce cineasti molto diversi tra di loro e non vuole essere un ghetto, casomai offrire un riscatto, mettendo i registi della rassegna al fianco e in ideale dialogo con le opere di Samuel Fuller, Pier Paolo Pasolini, Robert Wise, Joseph L. Mankiewicz fino a Quentin Tarantino o Jim Jarmusch. L’unico cineasta del quale sono stati messi nel programma due film è Melvin van Peebles, a suo modo un altro apripista: troviamo il suo esordio francese La permission (1968) e Sweet Sweetback’s Baadasssss Song (1971). Quest’ultimo è considerato l’inizio della blaxploitation, il movimento che segnò gli anni ’70 con film d’intrattenimento e di genere rivolti principalmente, ma non unicamente, a un pubblico afroamericano. Tra i cultori del filone anche Tarantino, che in Jackie Brown (1997) lo omaggia apertamente, fin dalla scelta come protagonista di Pam Grier, icona femminile di quel periodo. L’attrice fu, tra gli altri, protagonista di Coffy (1973) di Jack Hill, proiettato a Locarno.

Tra i prodotti più importanti della blaxploitation c'è anche Super Fly (1972) di Gordon Parks jr, del quale non è invece mostrato Shaft il detective (1971), altro titolo cruciale, memorabile anche per la colonna sonora di Isaac Hayes.

L’altro fronte degli anni ’70, quello dei cineasti losangelini formatisi alla Ucla e più attenti all’impegno politico e civile, è rappresentato da Killer of Sheep (1978) di Charles Burnett, il cui valore è stato sancito anche dall’Oscar alla carriera 2017. Qui però mancano registi importanti come Haile Gerima (Bush Mama) o Billy Woodberry. Il fronte delle assenze eccellenti è nutrito, del resto si sarebbe potuta stendere facilmente una lista lungo il doppio. Per stare all’attualità, non c’è Beloved - Amatissima (1998) di Jonathan Demme dal romanzo di Toni Morrison con Oprah Winfrey e Danny Glover.

Escluso anche un caposaldo come Nascita di una nazione (1915) di David W. Griffith che macchiò il grande cineasta dell’accusa di razzismo per come aveva rappresentato la gente di colore. Film poetico che avrebbe meritato considerazione è Sidewalk Stories (1989) di Charles Lane, come anche film importanti socialmente quali Nel fango della periferia (1957) di Martin Ritt o il celebre Indovina chi viene a cena? (1967) di Stanley Kramer con Spencer Tracy e Sidney Poitier (presente con il suo Stir Crazy) con la coppia Gene Wilder e Richard Pryor, ma forse sono stati considerati visti a sufficienza.

Tornando a ciò che è in programma, segnano tappe fondanti Boyz n the Hood di John Singleton e Daughters of Dust di Julie Dash, entrambi del 1991. Dalla ricognizione non può mancare Spike Lee, autore che ha dato un contributo significativo ad allargare pubblico e ambizioni di questi cineasti, con il suo esordio She’s Gotta Have It (1986, noto anche come Lola Darling) oltre a Fa’ la cosa giusta presentato in Piazza Grande restaurato e come evento di pre-apertura.

Risalgono a più indietro nel tempo Blood of Jesus (1941) dell’attore e regista Spencer Williams, esempio di «race movie» rivolto a un pubblico nero e dalle tematiche religiose con tanti gospel e musiche da ballo, e The Cool World dell’indipendente Shirley Clarke. Allontanandoci dagli Stati Uniti il cubano De cierta manera (1944) di Sara Gomez, il franco senegalese La noire de... (1966) di Ousmane Sèmbene, il giamaicano The Harder They Come (1972) di Perry Henzel e Amor maldito della brasiliana Adélia Sampaio. Si arriva al samurai filosofo interpretato da Forest Whitaker in Ghost Dog di Jim Jarmusch del 1999, film da rivedere in mezzo a tante gemme da scoprire.