Quel colpo alla zecca di Madrid

Con La casa di carta Netflix ci regala una nuova serie che crea dipendenza: protagonisti otto criminali che portano nomi di città
/ 30.04.2018
di Mariarosa Mancuso

Il cinema d’azione nasce con un film di rapina al treno, nel 1903. Fu girato da Edwin S. Porter negli studi Edison di New York e nel New Jersey (anche se l’ambientazione era decisamente western): un budget di 150 dollari per una storia che dura 11 minuti. Comincia – o finisce, più spesso – con il baffuto capo dei banditi che punta la pistola contro lo spettatore e ripetutamente spara.

La casa di produzione forniva la scena e lasciava libertà al proiezionista. Poteva metterla in apertura per attirare l’attenzione del pubblico con uno choc (solo pochi anni prima gli spettatori avevano urlato all’arrivo del treno nel primo film dei fratelli Lumière). Oppure poteva piazzarla alla fine, cosicché lo spettatore si alzasse con un senso di pericolo ancora incombente. È la scelta che si fa nelle edizioni per cinefili, riproponendo anche qualche scena colorata a mano, fotogramma per fotogramma, come si usava all’epoca. Titolo: The Great Train Robbery. Fu un gran successo, e il regista colse l’occasione per farsi da solo la parodia, con The Little Train Robbery (1905): bambini criminali rubano ai passeggeri del treno bambole e caramelle.

Quasi lo stesso titolo per 1855 – La prima grande rapina al treno, diretto nel 1979 da Michael Crichton (che aveva firmato anche il romanzo) con Sean Connery e Donald Sutherland. Bottino: 91 chili d’oro, pari a 286 milioni di euro attuali, spediti da una società londinese a Parigi, dove non arrivarono mai. I commentatori vittoriani ci rimasero malissimo, convinti che i furti fossero roba da poveri, non da bande organizzate che scientificamente attaccavano il più moderno mezzo di trasporto. Per fare un paragone: l’altra storica grande rapina – al treno postale Glasgow-Londra, 1963 – fruttò all’incirca due milioni e mezzo di sterline.

Briciole, a confronto della montagna di denaro che la banda guidata e organizzata da una mente lucidissima – viene presentato come «il professore» – intende ricavare da un colpo alla Zecca di Stato madrilena: 2 miliardi e 400 milioni di euro. Racconta l’audace impresa la più recente serie Netflix che ha fatto scattare il passaparola internazionale: La casa di carta, showrunner Alex Pina. Proprio quando Netflix ritirava i suoi film da Cannes, perché il regolamento pretende per il concorso titoli che abbiano una distribuzione nelle sale (o almeno non la escludano: tanti arrivano ai festival per cercare qualcuno che li distribuisca). Il braccio di ferro è puramente commerciale, niente a che vedere con il cinema del futuro.

Otto criminali, scelti tra gente che non ha niente da perdere. A partire dalla bella Tokyo che sarà la voce narrante. Tutti scelgono nomi di città: Berlino, Nairobi, Helsinki e Oslo, per contorno scaramucce tarantinesche (in Le iene nessuno voleva chiamarsi Mr Pink, poco virile). In una precedente rapina andata male le hanno ammazzato il moroso, e la mamma sta per consegnarla alla polizia. Arriva il Professore su una vecchia utilitaria, la porta in salvo e le propone il nuovo lavoro. Dopo cinque mesi di preparazione, davanti alla lavagna come scolaretti perché tutto fili liscio. Disciplina. E divieto assoluto di amoreggiare con gli altri allievi/rapinatori.

Scelgono per divisa tute rossastre che ricordano le palandrane imposte alle donne nella serie The Handsmaid’s Tale, tratta da Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood (la seconda stagione racconterà qualcosa in più delle colonie). Maschere con i baffi all’insù di Salvador Dalì, che ricordano la maschera di Guy Fawkes nel film di James McTeigue (e prima ancora nel fumetto di Alan Moore & David Lloyd) intitolato V come vendetta. Furono prontamente adottate dagli indignati di tutto il mondo. Da qui le letture in chiave «Occupy Wall Street» della rapina alla Zecca: «niente vittime e avremo la simpatia della popolazione perché non rubiamo a nessuno». I soldi verranno stampati al momento, 200 milioni ogni 24 ore, con numeri di serie ignoti alle forze dell’ordine.

Erano 15 puntate prodotte da Antena 3, una tv generalista. Per amor di marketing – e del pubblico snob – Netflix le ha fatte diventare 22, con un’interruzione dopo le prime 13 per fingere due stagioni e creare dipendenza. In effetti, non si riesce a staccarsi. Tra le storie degli ostaggi, le storie dei criminali, le storie dei poliziotti e della bella negoziatrice Raquel Murillo, malamente separata dal marito che lavora alla Scientifica. Il Professore, rimasto fuori dalla Zecca, controlla l’esecuzione del piano come farebbe un regista.