La prima generazione nella storia dell’umanità che poteva disporre di un sacco di tempo libero e aveva qualche spicciolo in tasca, si trovò di fronte una società ancora retta da antichi quanto severi principi, in cui la parola di genitori, insegnanti e reverendi non poteva essere messa in discussione, dove gay e lesbiche finivano in galera. Di rapporti prematrimoniali era meglio non parlare e l’unione tra due persone dal diverso colore della pelle era al bando. Ai giovani d’allora (inizio Anni 60) il potere – in senso lato – cominciò ad andare stretto. I ragazzi presero a ribellarsi lasciandosi crescere i capelli e le ragazze, che già avevano le chiome lunghe, risposero accorciando le loro gonne. Era l’inizio di una rivoluzione che in pochi anni avrebbe cambiato, se non il mondo, almeno il modo in cui starci.
Revolution è il giusto titolo di una mostra approdata alla milanese Fabbrica del Vapore in diretto proseguimento dal Victoria&Albert Museum di Londra e che ha due sottotitoli: Musica e ribelli ’66-70 e Dai Beatles a Woodstock. Divisa in diverse sezioni, l’esposizione offre un percorso coloratissimo, a volte addirittura psichedelico, arricchito da una mirabilia impressionante: oltre 500 oggetti e icone d’epoca, documenti autografi (tra cui il testo di due canzoni firmate John Lennon), copertine di LP, poster, opere di design, filmati televisivi e cinematografici (Blow Up, che Antonioni girò proprio nella Swinging London), fotografie e libri. I primi reperti sul cammino del visitatore sono proprio due libriccini che pochi dei ribelli d’allora avranno letto: Utopia di Thomas Moore (1556! storia di un’isola i cui abitanti rifiutano l’intolleranza, il profitto e la proprietà privata, trovando pace solo nell’appartenenza a una comunità egualitaria) e Matrimonio del cielo e dell’inferno (1792), dove William Blake lamentava come «l’uomo ha talmente rinchiuso se stesso da veder tutto soltanto attraverso le strette fenditure della sua caverna».
All’alba del 1960, pur fresco reduce da una guerra devastante, l’uomo si è tolto parecchie catene, ma l’anelito dei giovani è proteso a una libertà assoluta. Si esaltano alla ricerca del nuovo, non temono sperimentazioni e inedite esperienze, rifiutano in toto un passato fatto anche di ingiustizie, olocausti e contraddizioni (la marijuana è proibita, ma l’LSD resterà legale sino al 1967). La loro colonna sonora? Le canzoni del futuro Nobel Bob Dylan, i ritmi assolutamente inediti dei Beatles – Sergeant Pepper entra in 250 mila case sparse in tutto il mondo in una sola settimana e resterà tra le top ten per ben tre anni – e quei Rolling Stones che urlano Let’s Spend The Night Together. La rivoluzione abbraccia anche l’arte (Andy Warhol, Robert Rauschenberg) e il modo di comunicare, nascono i primi computer e in mostra, fa quasi tenerezza, c’è il primo rudimentale mouse. È un movimento globale che getterà le basi di istanze ancora oggi all’ordine del giorno: le lotte (femminili, degli omosessuali e contro il razzismo), il pacifismo, ma anche l’ecologia.
Il percorso si chiude con una capatina (a 180 gradi) a Woodstock – con la Fender di Jimi Hendrix che strazia l’inno a stelle e strisce – che segnò l’inizio della fine di quella stagione probabilmente irripetibile.
«Nonostante la reazione politica degli Anni 80 – scrivono gli ideatori della mostra Victoria Broackes e Geoffrey Marsh – la destra non è riuscita a vanificare i cambiamenti poi diventati legge; mentre la sinistra non è stata in grado di proporre nulla di altrettanto visionario e universale. I successi e i fallimenti vissuti tra il ’66 e il ’70 hanno prodotto un cambiamento permanente. Soprattutto un cambiamento di prospettiva: è stata una rivoluzione nella testa».