Quasi una Cenerentola

A colloquio con la soprano russa Anna Netrebko, artista dall’incredibile talento e dalla personalità focosa e straripante, reduce da un recente trionfo alla Scala con La Traviata
/ 02.05.2017
di Enrico Parola

Da Cenerentola a regina. Prima che sui palcoscenici dei più importanti teatri del mondo, Anna Netrebko ha vissuto la sua favola nella vita reale. Oggi è uno dei soprani più applauditi del pianeta, per tanti è forse l’unica vera diva della lirica, ma tutto cominciò lavando i pavimenti del Mariinskij Teatr di San Pietroburgo. «Ero una ventenne che sognava di far la cantante, non avevo ancora avuto nessuna chance anche se dal mio paesino di Krasnodar mi ero trasferita a San Pietroburgo per studiare; cercavano una donna delle pulizie e mi feci avanti: per respirare l’aria del teatro, per conoscerne da dentro i meccanismi».

L’agiografia l’ha ritratta intenta a cantare china sui pavimenti, scopa e strofinaccio in mano; il direttore del Mariinskij che passa casualmente di lì, la sente, ne rimane stregato e ovviamente… «Sarebbe stato molto romantico ma non andò così,» sorride «mentre lavoravo continuavo a studiare, nel 1993 vinsi il concorso di Mosca, tornata sulle rive della Neva feci un’audizione per interpretare Barbarina nelle Nozze di Figaro, lì sì che li colpii e mi offrirono il ruolo principale, Susanna». E lì inizio iniziò la sua irresistibile ascesa. 

Una carriera dove al talento artistico si è unita una personalità straripante: interpretazioni memorabili come le sue seconde nozze, oltre 4 milioni di dischi venduti (una cifra esorbitante per l’asfittico mercato classico dove già superare quota mille è un’impresa) e l’amore talvolta addirittura compulsivo per lo shopping, l’esibizione alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Sochi e la vita quotidiana col figlio autistico, vent’anni di vita sotto i riflettori scanditi da una metamorfosi anche fisica.

Qualche settimana fa ha trionfato alla Scala in Traviata, fasciata dalle morbide crinoline disegnate da Liliana Cavani; un look quanto mai lontano dalla minigonna aderente che indossava quando affrontò la sua prima Violetta, nel 2005 al Festival di Salisburgo. Allora incantava anche per il volto e il fisico da top model, oggi le forme si sono decisamente ammorbidite: «Da quando mi sono sposata con Yusif (il tenore azero Yusif Ayvazov, ndr.) immancabilmente trovo qualcuno che mi chiede se sono incinta; no, è solo un po’ di pancetta; mangio sano e senza eccessi, ma niente diete perché fanno male alla voce. Purtroppo per gli impegni da oltre un anno non sono entrata in una palestra e non posso fare addominali perché per cantare bene devo lasciare questi muscoli più morbidi possibile».

Come sono lontane quelle serate in cui, poco più che trentenne, dopo aver cantato Rigoletto a fianco di Placido Domingo «andavamo a casa sua a mangiare la paella e si tiravano le cinque del mattino a ridere e scherzare». In mezzo, e soprattutto al centro della sua vita, è entrato Tiago, avuto dal primo marito, il baritono Erwin Schrott: «Quando ho scoperto che era autistico mi sentii morire, poi cercai di capire come aiutarlo al meglio. Vedo tante mamme che non accettano che i propri figli abbiano dei problemi e cercano di nasconderli, a sé stesse e al resto del mondo; col risultato che, invece di curarli, da quando hanno 4 anni aspettano che ne abbiano 12, con conseguenze pessime. Mi informai, mi dissero che i migliori specialisti sono in America e così ho deciso di fargli frequentare le scuole a New York», dove Netrebko ha un attico a Manhattan.

«I maestri gli danno compiti e materiale anche quando mi segue in giro per il mondo, non riesco a star tanto lontana da lui. Quando sono a casa mi piace cucinare, accompagnarlo a scuola, andare al supermercato, cose normali insomma». Se abbastanza normale è anche lo shopping talvolta sfrenato («davanti a certi negozi non so resistere; quando canto a Milano ad esempio… Ho abbandonato lo stile classico, i grigi e i piumini tutti uguali, opto per vestiti coloratissimi, fogge anche folli; sono nata nel sud della Russia, non sono certo lo stereotipo della russa glaciale»), fuori dal normale sono state le nozze con Ayvazov a fine 2015.

Aveva aperto la stagione della Scala cantando Giovanna d’Arco di Verdi sotto la direzione di Riccardo Chailly (era già stata protagonista del Sant’Ambrogio scaligero come Donna Anna nel Don Giovanni diretto da Barenboim e lo sarà anche il prossimo 7 dicembre, debuttando in Andrea Chénier), il 29 il matrimonio da favola: la cerimonia nel palazzo Coburg a Vienna, il diadema in oro bianco 18 carati e diamanti simile a quello indossato da Kate Middleton quando sposò il principe William, il trasferimento in carrozza al castello di Belvedere per il ricevimento con 180 invitati e i fuochi d’artificio.

«Ci eravamo conosciuti nel 2014 a Roma, cantavamo nella Manon Lescaut diretti da Riccardo Muti. Mi sentivo impreparata e in quei giorni studiavo da mattina a sera, lui non sapeva chi fossi perché era da poco arrivato nella ribalta maggiore; quando cercò miei video su youtube mi diede della pazza perché affrontavo ruoli troppo diversi tra loro, da Mozart a Prokof’ev; era gentile, aveva senso dell’umorismo, a differenza mia era ed è un romanticone e nonostante lui abbia sei anni in meno di me è scoccata la scintilla. Prima o poi arriverà anche un figlio, Yusif mi sembra un padre perfetto, è un orsacchiottone e vedo come sta con Tiago».

In mezzo a tutto questo, il segreto del suo successo, come sempre nella classica, è uno solo: cantare divinamente. Grazie al talento, certo, ma anche a una disciplina ferrea e al senso della misura: nonostante alla Scala sia stata applaudita come la miglior Violetta oggi esistente, farà Traviata una volta sola ancora, a Parigi, e poi più: «Sento di poter dare oggi a questo ruolo molto più di quello che trasmettevo dieci anni fa, ma ogni personaggio ha una sua età, non posso continuare a fare la ragazzina sul palcoscenico se non lo sono più nella vita». Allo stesso modo ha rifiutato, suscitando clamore, di essere Norma a Londra: «Un grande ruolo, ma che non riesco ad amare; e se il mio cuore non palpita è meglio che rinunci».