Quando l’ascolto diventa scoperta

Dischi: un’attenzione meritata per le nuove pubblicazioni di Lothar, dyp e MeVdA
/ 06.02.2017
di Zeno Gabaglio

Ci sono fondamentalmente due tipi di attitudine: quella di chi nell’ascolto musicale cerca conferme di sé (dei propri gusti, delle proprie abitudini, della propria visione del mondo) e quella di chi nell’utilizzo attivo del senso-udito vuole anche aprirsi a nuove esperienze (poetiche, sensoriali, culturali, umane) ben sapendo che il risultato non è per nulla garantito: magari piacere, magari stupore, magari fastidio. Smetta di leggere tutto quel che segue chi fa parte della prima categoria. Mentre chi appartiene alla seconda provi a trovarci spunti per future soddisfazioni, scoprendo contestualmente come la produzione musicale della Svizzera italiana non è – come spesso si suppone – solo rifrittura dell’ovvio, ma anche audace movimento centrifugo.

Lothar – Ikaròs

Piattaforma ideale per ogni tipo di scoperta musicale – senza nessun confine, davvero – è il portale bandcamp.com. Sito di vendita digitale e fisica che quest’anno celebra il primo decennale, bandcamp è soprattutto un luogo riparato in cui a trionfare non sono tanto i flussi veicolati dal marketing e dalle classifiche quanto la soggettiva libertà – per chi la musica la fa – di inserirsi a tutti gli effetti nel mercato globale. Per esempio ci si può trovare Ikaròs di Lothar, al secolo Mattia Scheiwiller, che nel locarnese già da qualche anno è agitatore di idee inconsuete attorno al mondo dei suoni. Il suo, essenzialmente, è un disco di field recording (cioè di campionamenti ambientali, più domestici e civilizzati che non en plein air) cui si sommano strumenti reali quali chitarra, banjo, clarinetto e carillon. Il risultato sono nove tracce di collage sonori che – provandoli a leggerli secondo i normali percorsi logico-musicali – potrebbero apparire ostici. Se invece da subito ce li si immagina come reminiscenze oniriche, come esperienze che si distorcono e sovrappongono senza soluzione di continuità (proprio come accade nei sogni) i pezzi rivelano un profondo ordine espressivo ed evocativo. Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante, diceva il Zarathustra di Nietzsche.

dyp – Empty Songs

Filippo Corbella è chitarrista di ascendenze classiche – oltre che tra i programmatori musicali dello Studio Foce a Lugano – e per chi viene dai lunghi anni dell’apprendistato all’interpretazione classica farsi creatore non è un passo da poco, soprattutto concettualmente. Così come non è semplice abbandonare il virtuosismo tecnico quale chiave interpretativa della realtà e unico metro per misurare la qualità musicale. Con Empty Songs il dado è decisamente tratto, e il minimalismo malinconico delle tre tracce è un inno – profondo, sentito – alla semplicità dei sentimenti e delle sensazioni più vere. Archetipi elementari da cui la nostra esperienza non può sfuggire, come  quando si resta in ammirazione di orizzonti urbani invernali: lineari e a tratti disconnessi, sereni ma anche sporchi e graffiati.

MeVdA – Scare To Care

Spendere solo poche righe per parlare di MeVdA (un nome che – per una band, ma non solo – rasenta la perfezione) e della florida realtà sopracenerina di L’è tütt folklor Records potrebbe sembrare iniquo. Uno spazio ingiustamente breve soprattutto se si vuole sottolineare come anche in Ticino c’è chi – magari il tuo vicino di casa – fa cose che proprio non t’aspetteresti, cose che a tutto il resto del villaggio sembrano la negazione di ogni valore costituito, che sfuggono a qualsiasi tipo di comprensione. E proprio alla limitatezza culturale di questi benpensanti personalmente dedico quell’unica nota che caratterizza i primi quattordici minuti dello split-tape MeVdA/Xtematic uscito a metà dello scorso anno. Un quarto d’ora per un’unica nota, sì, perché quel che conta non è l’altezza della nota ma il processo di progressiva distorsione a cui tale nota viene sottoposta. Una voluttuosa disgregazione materica che appare sublimazione dell’ineluttabile, declino e al tempo stesso apoteosi.