Esistono due strade per imparare una lingua nel paese dove questa viene parlata: seguire un corso ufficiale o/e mescolarsi fra i parlanti nativi. Del primo metodo ci occuperemo più avanti. Sul secondo circolano leggende che giurano come sia indispensabile memorizzare, prima di ogni altra cosa, parolacce e insulti: «per non far figuracce e se necessario difendersi», dicono i prodi Cavalieri della Tavola Sconcia. C’è da fidarsi? Nel dubbio, un po’ sì; la faccenda puzza comunque di goliardia.
È saggio mantenere alta la guardia pure di fronte a un rischio altrettanto concreto per chi impara una lingua straniera, un pericolo da cui è bene difendersi e che (questo sì) è contemplato ufficialmente nei vari metodi di studio. Il fenomeno in linguistica porta il nome di «falsi amici»: una definizione buffa che ben si presta allo scopo, ossia quello di non farci cadere nella tentazione (ingenua o cafona) di crederci subito poliglotti. Si tratta di coppie di parole appartenenti al lessico di due lingue distinte che però, pur assomigliandosi o essendo addirittura quasi identiche, hanno significati differenti. I «falsi amici» dribblano fra le due lingue, e ci ingannano dandosi la mano con un ghigno sornione. Lo scherzetto risulta particolarmente insidioso nel parlato, e la conversazione in una lingua che non è quella che ci ha allevati può portare anche a imbarazzanti malintesi.
Perché esistono i «falsi amici»? Perché renderci la vita più difficile, quando già masticare e digerire una lingua nuova non è come fare una passeggiata? I «falsi amici» si tengono per mano perché fra di loro si conoscono bene: nella storia delle lingue possono ad esempio condividere la stessa origine, per poi incamminarsi su strade differenti, oppure accettare un passaggio da un’altra parola, o decidere di far compagnia a un’altra ancora. Insomma, una parola è un po’ come una persona: l’apparenza può ingannare, non sai mai esattamente chi hai di fronte, quale sia il suo passato. Dunque è sempre meglio stare con gli occhi bene aperti.
Tra i «falsi amici» più facili da smascherare (quelli dunque che da italofoni che impariamo l’inglese o il tedesco non dovrebbero più metterci in difficoltà già a partire dalla Lezione 2) ci sono quei burloni di «cold» e «kalt», che se la intendono alla perfezione avendo radici comuni sul ceppo germanico e fanno le pernacchie all’italiano «caldo». Viaggiando con un convoglio Deutsche Bahn o National Rail, se nel vostro vagone vi pare che la temperatura sia troppo alta state attenti a non confondervi quando vi lamenterete con il capotreno, o rischiate di ritrovarvi a fare la sauna.
O ancora: se intendete concludere un affare con un tedesco, dovete proporgli un «Geschäft» e non un «Affäre», che a Berlino sta per «relazione amorosa», con potenziali inattese (s)piacevoli conseguenze. E ancora: in albergo a Madrid non chiedete il «burro» da spalmare sul pane, perché in Spagna il «burro» normalmente raglia e odia la marmellata. A Parigi la «nonne» vive solitamente in convento e non dovrebbe avere nipotini da accompagnare al parco (compito, questo, della «grand-mère»). E a New York, non scandalizzatevi se la pizza surgelata non contiene «preservatives»: è solo molto naturale (senza conservanti), non ha certo ambizioni genitoriali.
Morale: dagli amici (falsi) mi guardi Dio, che dai «falsi amici» mi guardo io… con un buon corso di lingue.