Dove e quando
Christa de Carouge, Zurgo, Kunsthaus (Dorfstr. 27). La mostra rimarrà aperta fino al 18 febbraio 2018.

(© oliverbaer, Zürich)


Quando gli abiti sono abitati

Abiti e creazioni sartoriali della stilista svizzera Christa de Carouge esposti al Kunsthaus di Zugo fino al 18 febbraio
/ 08.01.2018
di Marinella Polli

La Grande Dame degli stilisti svizzeri, Christa de Carouge (nata Furrer a Basilea, ma cresciuta a Zurigo, città in cui aveva un atelier, oggi chiuso come pure quello di Carouge), è una signora di 81 anni piccolina, con un caschetto argenteo, supercorto e sbarazzino che le incornicia il viso illuminato da vivacissimi occhi. È ovviamente vestita di nero – anche la montatura degli occhiali è rigorosamente nera –, in quello stile non ligio a mode, ieratico, solenne, ampio e un po’ ingombrante che caratterizza il suo intero operare artistico. I vestiti sono fatti per essere abitati, devono essere come una vera e propria casa per chi li indossa, come un’architettura per il corpo, suole ripetere la stilista, non certo modelli tagliati per rivestire la figura.

Alla dama in nero, in quanto è il nero, come tutti sanno, ad avere la parola nelle sue straordinarie creazioni, e alla sua arte, scelta cromatica, qualità, autenticità e genialità, il Kunsthaus di Zugo dedica presentemente una mostra che, assemblando in modo molto suggestivo ed invitante modelli di haute couture, oggetti, fotografie e disegni, è anche un significativo riassunto di quanto fatto fin qui dalla grande stilista. Kimono, mantelli, tuniche, vestaglie, ampi pantaloni e giacconi a portafoglio dalla silhouette voluminosa fanno da cardine, a testimonianza di quanto Christa De Carouge spesso ripete, ovvero che i suoi abiti di materia e forme che li rendono unici nel loro genere non hanno nulla a che fare con la moda, le mode o i trend. E poi i tessuti, le stoffe: plissée, a drappeggio, ricamate, a inserti, con paillettes da toccare e accarezzare contropelo, con tarsie magnifiche di trama diversa, traforata a rete o a effetto pizzo. Stoffe prevalentemente provenienti dalla grande tradizione svizzera e dal Giappone, paese, quest’ultimo, che rappresenta il punto forte nell’ispirazione dell’artista, sempre alla ricerca del tessuto ideale, scoperto poi un giorno fra le stoffe zen dei monaci buddisti.

In una sala del museo sono per esempio esposti un busto di Buddha, una campana tibetana e un kimono del buddhismo Zen. Esposti e sapientemente disposti, giacché nella mostra in questione, tutti i capi sono adagiati in maniera molto suggestiva sul pavimento o appesi a enormi guardarobe mobili. A parte qualche singolo capo in rosso o in oro, tutto nero, come detto, in seducente contrasto con il bianco immacolato delle sale. Inoltre, a eloquente testimonianza che non tutto il nero è uguale: a seconda del materiale, della lavorazione, di combinazione e accostamento e della forma, questi tessuti sono un inevitabile palcoscenico delle più svariate luci, sfumature e colori. Il nero cattura infatti la luce in modo diversissimo: sfumature argentee o grigie, aloni brunastri, effetto a specchio, a velluto, ecc., ecc.

Al Kunsthaus c’è anche una sala in cui si possono comodamente provare dei capi, e non poche visitatrici ne approfittano ammirandosi nell’enorme specchio a disposizione.