Sono amico di Andrea Fazioli da moltissimi anni (dal 1991 o giù di lì) eppure i suoi romanzi raramente mi hanno entusiasmato, anche perché appartengo alla sparuta minoranza dei non-giallofili. Il contenuto della prima affermazione, l’amicizia, è destinato a rimanere tale anche dopo questa recensione (almeno spero!); quello della seconda invece, l’insoddisfazione, è cambiato radicalmente dopo la lettura del suo ultimo libro. Se non lo avete ancora fatto, procuratevi Succede sempre qualcosa, perché «qualcosa» succederà davvero: un incontro, un’intuizione, un lampo, un’epifania, quanto di meglio si possa chiedere a un libro che abbia l’ambizione di dirsi letteratura, il desiderio di mettere in contatto un autore e un lettore sul piano accogliente e condiviso di una storia fatta di parole.
Che non si tratti di un romanzo poliziesco, anzi, nemmeno di un romanzo tout court è forse la principale novità del libro, composto di trentasei testi brevi di vario genere, non per forza racconti, suddivisi in dodici capitoli tematici che seguono passo passo il trascorrere dell’anno solare. La dimensione del tempo, accanto a quella dell’interiorità, è infatti lo spazio dentro il quale si muovono queste storie, autobiografiche quanto basta per immaginare uno scrittore che si mostri veramente, per la prima volta, con il cuore in mano. L’investimento emotivo, personale, intimo, deve essere stato importante, ma il risultato si vede e i lettori non potranno che apprezzare questo nuovo corso della scrittura di Fazioli.
Lungo la linea cronologica delle dodici sezioni (una per mese) si allineano così le passioni dell’autore ‒ dal jazz alla bicicletta, dalla musica francese alla poesia del Novecento, passando per Guccini, Canetti, Tex Willer, la letteratura tuareg – in un sistema di valori culturali che è al contempo molto personale, e abbastanza comune, e in cui quel che più conta è lo sforzo con il quale queste passioni vengono fatte interagire con la passione principale, quella per la narrativa. Fazioli, che da anni si dedica alle scuole di scrittura, in questo libro sembra chiedersi a ogni pie’ sospinto: perché scrivo? come avviene nei fatti? in che direzione sta andando la mia vocazione? Sono domande cruciali perché si situano lungo il discrimine tra il sé (il pensiero) e l’altro (il testo, il lettore) e toccano inevitabilmente, per uno scrittore, il senso stesso del suo essere al mondo, del suo darsi agli altri per mezzo della parola: «Ancora oggi c’è una frizione nel momento in cui ciò che avverto dentro di me, come potenzialità indefinita, trova un modo di espressione, uno solo, con tutti i suoi limiti. Quello che appare sulla pagina è sempre diverso da quello che avevo in mente: prima di tutto perché ciò che scrivo esiste, mentre ciò che penso è come una vela che passa in lontananza».
Fazioli è a proprio agio nella misura breve, con la quale si era segnalato alla critica in giovane età, vincendo concorsi letterari in Svizzera e in Italia. In questo libro, dando seguito a un suggerimento dell’editore, ma mettendo a frutto anche esperimenti già apparsi su riviste e quotidiani e soprattutto nel suo blog personale, opera uno scarto verso l’alto grazie a una struttura letteraria perfetta: da un lato la linea cronologica dei mesi, dall’altro il piccolo gruppo di tre testi ospitato in ciascuna sezione. Il pendolo oscilla così tra identità e variazione: ogni mese è uguale al precedente eppure diverso, come ogni volta diversa è la piazza di Bellinzona in cui si ambientano dodici delle trentasei storie. Si va dal grado zero della confessione esistenziale, più o meno celata sotto pseudonimi, al grado massimo di letterarietà e maniera (un western, forse il pezzo meno riuscito della silloge), con un abile dosaggio di componenti che ricorda i libri poetici più delle tradizionali raccolte di racconti.
I lettori più attenti vi troveranno forse qualcosa dell’Orelli prosatore, nelle sue ondivaghe divagazioni nella città turrita, e davvero quella del massimo poeta svizzero di lingua italiana pare essere, anche per Fazioli, una lezione feconda: se qualcosa succede sempre, non è per il vorticare degli eventi («se non so più come andare avanti, faccio comparire una pistola», diceva con sarcasmo Raymond Chandler), bensì per l’acutezza e la finezza di sguardo di chi osserva. La realtà stessa è una pistola, per chi la sappia guardare con attenzione, un poliziesco vasto come il mondo.