Dove e quando

Prima di Como, nuove scoperte archeologiche dal territorio. Como, Chiesa di S. Pietro in atrio (Via Odescalchi 3). Fino al 10 novembre 2017. visitcomo.eu


Prima di Como

Una mostra nella città sul Lario dedicata alla preistoria della nostra regione
/ 23.10.2017
di Marco Horat

A fine mese si tiene a Milano il Convegno nazionale di preistoria che porterà i partecipanti a Como per la visita di una piccola quanto intrigante esposizione archeologica, attualmente aperta nella chiesa di San Pietro in atrio (gemella della più illustre chiesa di San Fedele), nel centro della città. Sotto le volte affrescate del bell’edificio, oggi sconsacrato, vengono presentati al pubblico i reperti emersi durante gli scavi per la realizzazione della Pedemontana e nella regione ad ovest della Spina verde, soprattutto nella zona dove è sorto il nuovo ospedale di Sant’Anna, durante quindi gli ultimi dieci anni di indagini condotte dalla Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio. Pezzi spesso eccezionali che sono stati restaurati e inquadrati in un percorso didattico con testi, immagini d’archivio e filmati che illustrano il territorio comasco durante l’Età del Ferro (I millennio a.C.) e la relativa cultura di Golasecca fiorita nelle regioni a ridosso delle Alpi.

Marina Uboldi è la curatrice della mostra e la conservatrice dei Musei civici di Como: «Quella che presentiamo non è la Como romana dei ritrovamenti dentro le mura odierne in riva al lago – ci dice – ma la Como protostorica che si era sviluppata sulle colline della Spina verde e guardava non verso il lago e la palude, ma verso la pianura, zona Grandate, San Fermo, Breccia e via dicendo». È nella zona dello svincolo autostradale infatti che sono venute alla luce alcune tombe interessanti con urne cinerarie in ceramica, coppe-coperchio, vasetti per offerte votive e fibule di bronzo.

Ma soprattutto due sono le sepolture di personaggi importanti, particolarmente ricche: «Abbiamo trovato una grande situla in bronzo che conteneva le ceneri del defunto, con relativo coperchio, di solito provenienti dalla zona di Este dove erano stanziati i Veneti. Proprio questo coperchio sbalzato è eccezionale poiché su di esso vi è rappresentata una scena mitologica inedita, con due sfingi, una delle quali sta mettendo un grosso pesce nella bocca dell’altra. Accanto vi era un grande pendaglio in bronzo – il che potrebbe far pensare a una tomba femminile – ma anche una spada, un pezzo di elmo accartocciato, una punta di lancia e un corredo da toilette con spatoline in ferro, una pinzetta, anelli in bronzo, tutti oggetti tipicamente maschili».

Vi era anche un doppiere di grandi dimensioni, cioè due o tre vasi appaiati sorretti da braccia che si uniscono in una base comune, restaurato dopo essere stato ritrovato in minuscoli frantumi; come le preziose ceramiche zoomorfe e il vasellame decorato con lamelle di stagno. Ma ci sono altre sorprese: nella zona dove si stava costruendo l’Ospedale di Sant’Anna è apparso un enorme e misterioso circolo del diametro di 80 metri disegnato sul terreno pianeggiante, circondato da due file di pietre ben allineate. «È un mistero che aspetta di essere risolto – dice ancora Marina Uboldi – perché non si tratta di un tumulo funerario. Nella zona sono anche venute alla luce menhir dell’Età del Rame, quindi questo posto doveva avere una valenza spirituale o sociale fin dai tempi più antichi poiché situato in un punto di incontro tra due corsi d’acqua. I golasecchiani avevano fatto un foro al centro di questo spiazzo per infilarvi un palo e, mediante corde, tracciare poi una circonferenza perfetta. Al centro avevano posato una piattaforma dalla quale si dipartivano dei raggi visibili sul terreno oggi protetto. Dai sondaggi sono anche emerse tracce di arature rituali e intorno diverse tombe».

Dalle pareti della mostra si affaccia anche l’immagine che illustra il famoso Carro della Ca’ Morta, del V secolo a.C., il must del Museo civico che è lì a due passi e che può essere considerato il prolungamento naturale della mostra temporanea: «Un carro importante che è stato oggetto recentemente di nuovi studi interpretativi da parte di un ricercatore francese – ci dice Fulvia Butti anche lei archeologa e vicepresidente della Società archeologica comense. Scoperto un centinaio di anni or sono e ricostruito con i criteri cognitivi di allora, si è scoperto ora che il nostro carro ha molte similitudini con analoghi carri trovati a Vix in Borgogna, sempre in sepolture femminili. Segno che vi erano stati scambi intensi tra le due nostre regioni e forse anche un fenomeno pianificato di esogamia, cioè un passaggio di donne da marito da una cultura all’altra».