Semper pauper eris, si pauper es [...] / Dantur opes nullis nunc nisi divitibus
Se sei povero, sarai sempre povero [...]. Oggi si concedono beni solo ai ricchi
(Marziale, Epigrammi, V, 81)
Marziale scrive nella Roma imperiale degli ultimi decenni del I sec. d.C. La concentrazione del capitale nella società di quel tempo era certo era assai più marcata di quanto non lo sia oggi, quanto meno nei paesi sviluppati; non si può tuttavia negare che esistesse anche allora una certa mobilità economica e sociale. La pessimistica affermazione di Marziale riflette in realtà l’atteggiamento fatalistico dei ceti inferiori: una forma di supina accettazione della realtà, o, come si direbbe oggi, di «pensiero debole». Più specificamente, sotto quest’affermazione cova il sentimento di frustrazione di chi, a dispetto della propria vera o presunta superiorità intellettuale, ha subito molte umiliazioni, praticando tra l’altro (è il caso appunto dell’epigrammista) il mestiere del cliente. Sono ricorrenti, nella poesia di Marziale, le lamentele per la disagiata condizione economica, nonostante il successo dei suoi libri (allora non esistevano i diritti d’autore). E quando, stanco di Roma, decise di tornare nella nativa Bilbilis (Spagna Tarragonese), a pagargli il viaggio fu il facoltoso, liberale e vanesio Plinio il Giovane, che si compiace di darne notizia.
Qualche decennio più tardi, lo stesso sentimento di frustrazione e di sdegno per le ingiustizie sociali trova sfogo nelle satire di Giovenale, che indica nell’indignatio la musa ispiratrice della propria poesia. Anch’egli lamenta, nella Satira VII, le misere condizioni degli intellettuali, contrapposte alle smodate ricchezze dei campioni sportivi (nihil novi verrebbe da dire!); e nella Satira III si sofferma sulle diverse conseguenze che l’incendio del proprio appartamento (a quei tempi non si erano ancora diffuse le assicurazioni!) ha per un povero o per un ricco: il primo perde anche quel niente che aveva, per il secondo si mobilita la solidarietà di classe, trasformando il sinistro in occasione di ulteriore arricchimento.
La denuncia dell’inadeguato riconoscimento economico del lavoro intellettuale costituisce del resto un topos della letteratura non solo antica, che ha trovato espressione nell’adagio latino, ma non classico, Litterae (o carmina) non dant panem, «La letteratura (o: la poesia) non procura il pane», non meno che nel petrarchesco «Povera e nuda vai filosofia / dice la gente al vil guadagno intesa».
Chiudo queste noterelle osservando che la massima di Marziale sulla radicalizzazione dell’antinomia poveri/ricchi può essere estesa al livello dei rapporti interstatali: nonostante le varie forme di aiuto poste in essere dagli stati, da istituzioni religiose e no, da enti umanitari, il divario tra paesi ricchi e paesi poveri tende, soprattutto nei periodi di crisi economica come quello da cui stiamo faticosamente uscendo, ad aumentare. Non è forse un caso che la decima edizione (2017) del Premio giornalistico Gaspare Barbiellini Amidei abbia avuto come tema: «Ricchi o poveri? Il mondo spezzato: valori, paure, sofferenze, benessere».