I Pink Floyd al Museo, o i Pink Floyd da Museo? La domanda è cruciale visto il successo della mostra The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains inaugurata trionfalmente a Londra, al Victoria and Albert Museum, e adesso al MACRO di Roma, presentata per l’occasione da Nick Mason e Roger Waters, il fondatore dei Pink Floyd che si allontanò dal gruppo negli anni 80, e che ha scelto proprio Roma per «esserci», per visitare la Mostra e parlare di sé: «All’epoca dell’inaugurazione a Londra, stavo lavorando in America, perciò oggi l’ho vista per la prima volta, ed è stato divertente ed emozionante. Sono rimasto sorpreso dalla grande quantità di oggetti in mostra, donati dalle tante persone che ci hanno seguito e amato. Per me è stato un viaggio nel tempo, in un periodo della mia vita, tra le tante cose successe e le musiche che abbiamo creato, il tutto mixato in modo sorprendente dal “miracolo tecnologico” creato dalla Sennheiser, che ha dato una colonna sonora ai miei pensieri e ai miei ricordi, resuscitando atmosfere e sensazioni».
Roger Waters è rimasto colpito dalla «audioguida» della mostra, un sofisticato congegno dotato di cuffie che, una volta appeso al collo, è in grado, quando ci si avvicina a un oggetto, o a una bacheca, di interagire con i video, le installazioni e le fotografie, che scandiscono tutto il percorso, riproducendo in alta qualità, le musiche, le voci, i racconti, le interviste inedite dei Pink Floyd e le canzoni della band che segnarono un’epoca; in questo modo ogni visitatore può crearsi una propria colonna sonora della mostra.
The Pink Floyd Exhibition: Their Mortal Remains inizia con un’orgia d’immagini psichedeliche proiettate su muri neri: quadri, copertine di album e serigrafie dell’epoca dei figli dei fiori e dell’LSD. Su tutto campeggia una gigantografia di Syd Barrett – anima lirica e giocosa del gruppo – circondato dalle sue lettere, dai quadri e dalle poesie: è un omaggio a un amico mai dimenticato, in ricordo della breve stagione in cui il suo talento segnò profondamente il destino della band, bruciando la sua esistenza. Si comincia così in modo cronologico con degli studenti di Cambridge appassionati di musica e si prosegue con le tappe principali della loro carriera e del loro mondo visivo, sempre teatrale e spettacolare.
«Collaborando a questa mostra ho ritrovato cose che credevo perdute, come certi miei tamburi che avevo fatto dipingere e che sono ancora bellissimi», ha confessato Nick Mason. Più di Gilmour e Waters, Mason ha lavorato al progetto della mostra con Storm Thorgeson e Aubry Powell (detto Po’) del gruppo Hipgnosis, lo studio fotografico e di grafica che per anni si è occupato dell’immagine dei Pink Floyd, realizzando opere iconiche come la mucca della copertina di Atom Heart Mother o il prisma rifrangente di The Dark Side of the Moon, diventato l’album della svolta e del successo planetario, che la mostra celebra in una saletta a parte con un ologramma che fluttua e si trasforma seguendo la musica. Sarà poi la volta di Wish You Were Here con il video del businessman che prende fuoco; ma al MACRO c’è anche il grande maiale rosa gonfiabile che i Pink Floyd usarono come vessillo tra le ciminiere della Centrale Elettrica di Battersea, e che ora si libra sul soffitto, a trenta metri di altezza, con altri pupazzoni gonfiabili come le pecore del concerto Animals, la «famiglia perfetta» che torreggiava nel primo concerto americano, o i mattoni giganti di The Wall.
Brani di storie e brani musicali che scandiscono eventi epocali e personali dei Pink Floyd, ci accompagnano sino all’ultima sala: la «performance room», uno spazio «audiovisivo immersivo», dove, tolte le cuffie, saliamo virtualmente sul palco del Live 8, tra fumi e luci colorate, sulle note di Comfortably Numb mixata con la tecnologia Ambeo 3D dalla Sennheiser. Dieci minuti dell’ultimo concerto, quello della «reunion» del 2005 e poi, come omaggio a Roma, il video di One of These Days dalla storica esibizione del gruppo a Pompei. Si esce dalla mostra incantati, giurando a se stessi di tornare, malgrado la coda, l’entrata contingentata e i biglietti da prenotare. Ma anche con una nuova consapevolezza: il «rock-in-mostra» sta diventando il nuovo business culturale di successo.
Dopo i Rolling Stones e David Bowie è infatti il momento dei Pink Floyd. Ma sono mostre destinate a finire in un museo dal suono spettacolare? Their Mortal Remains, (I loro resti mortali, Ndr), dicitura voluta da Roger Waters, è quindi un epitaffio? «Questa mostra è una collezione dei nostri lavori passati» – ha reagito Nick Mason concludendo la conferenza stampa – «e anche se sembrano una sequela di successi, quasi fossero il frutto di scelte “ragionate”, non è così. Le innovazioni e i cambiamenti nella nostra musica non sono mai stati “premeditati“, ma frutto di elementi casuali, o fortunati. Cominciavamo una cosa, poi, senza ragione alcuna, la abbandonavamo per un’altra. E le nuove tecniche audio-video, mostrano magnificamente ai giovani il nostro modo di fare, ma anche le grandi possibilità che esistono oggi, per fare le stesse cose meglio, e soprattutto come farne altre. Ai nostri tempi non esistevano ologrammi, né sistemi audiovisuali, ma ce ne siamo serviti qui, e il cambiamento tecnologico è, assieme a noi, il protagonista di questa mostra e di questa musica, e non si può congelare».
Roger Waters è ancora più drastico: «Non m’interessa questa mostra; non m’importa cosa ci siamo lasciati alle spalle! Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto: Nick, David, Syd, Rick e io. Amo profondamente The Dark Side of the Moon, ma noi siamo ancora sulla breccia. Io sto lavorando a un nuovo album e al tour in programma. Ci sono cose cruciali con cui confrontarsi oggi, più importanti che guardare indietro e fossilizzarsi su quanto avvenuto venti o trenta anni fa».