Dove e quando
Kuwait. Un deserto in fiamme. Fotografie di Sebastião Salgado. Milano, Forma Meravigli. Fino al 28 gennaio 2018. www.formafoto.it


Petrolio, fiamme, distruzione

In mostra a Milano gli impressionanti scatti realizzati da Salgado in Kuwait dopo l’ordine di distruzione dei pozzi di petrolio impartito da Saddam Hussein
/ 02.01.2018
di Giovanni Medolago

«Alcuni mi considerano un fotogiornalista. Non è vero. Altri invece un militante, ma nemmeno questo è vero. La sola cosa vera è che la fotografia è la mia vita. Tutte le mie foto corrispondono a momenti che ho vissuto intensamente. Queste immagini esistono perché la vita, la mia vita, mi ha condotto a farle. Vuoi perché c’è una rabbia in me che mi ha portato in un posto ben preciso; vuoi perché a guidarmi è stata un’ideologia o semplicemente la curiosità. La mia non è una fotografia obiettiva, è profondamente soggettiva! Scatto immagini in funzione di me stesso, di ciò che sto vivendo e pensando. E me ne assumo la responsabilità».

L’incontro che Sebastião Salgado ha voluto aperto a tutto il pubblico (non accontentandosi della solita conferenza stampa) per presentare la mostra Kuwait. Un deserto in fiamme è stata un’autentica lezione di vita. Annoverato tra i migliori fotografi del mondo, a 77 anni e dopo aver visitato ogni angolo della Terra, Salgado ha parlato come un vecchio saggio dall’alto delle sue innumerevoli esperienze, dei mesi e degli anni trascorsi per realizzare progetti grandiosi – quelli che lo impegnano a lungo e che predilige: «Ho accettato poche commissioni nel corso della mia carriera» – lavorando con i minatori di carbone o condividendo la vita di tribù primitive in Brasile o in Africa, dove «si continua a vivere, come migliaia di anni fa, a stretto contatto con la natura un’esistenza in cui l’istinto, che l’uomo cosiddetto civilizzato ha perso, ha un’importanza fondamentale per la sopravvivenza».

Accompagnato dall’inseparabile moglie Léila (si sono sposati nel 1967!) e dal capo della squadra di pompieri allora all’opera nel deserto – «il mio amico Mike, giunto apposta dal Canada!» –, Salgado ha raccontato che stava realizzando un servizio sulle tonnare siciliane quando gli giunse la notizia della fine dell’ennesimo conflitto in Medio Oriente e che Saddam Hussein, nel vano tentativo di proteggere la ritirata delle sue truppe, aveva dato ordine di incendiare oltre 700 pozzi petroliferi.

«Giunsi in una Kuwait City – racconta – assolutamente deserta. Ogni mattina salivo in macchina e dopo quaranta chilometri trovavo la distesa di pozzi in fiamme. Uno scenario impressionante: il cielo era nero, faceva buio anche di giorno e ovunque per terra c’era un catrame così denso da nascondere la strada, dove inoltre giacevano ancora mine inesplose. Sono rimasto in questo inferno una quarantina di giorni. Ho visto tante catastrofi naturali, ma in questo caso c’era una forma di spettacolo, terrificante quanto affascinante. Sembrava di stare in un teatro a grandezza naturale e di assistere allo spettacolo dell’Apocalisse».

Naturalmente l’interesse di Salgado si rivolge soprattutto alle fatiche di pompieri e tecnici, impegnati per oltre un anno nello spegnimento di tutti i focolai provocati da Saddam Hussein. «Sono tra gli eroi di quella guerra e il mio lavoro è dedicato a loro: senza il loro intervento gli incendi sarebbero potuti durare anche tre o quattro anni. Hanno combattuto sulla trincea del fuoco pagando un prezzo importante».

Lui stesso ha perso parte dell’udito («Il rumore dei pozzi era assordante, sembrava di stare dentro un reattore!») spingendosi in zone ancor più a rischio pur di realizzare le foto ora in mostra alla Galleria Forma Meravigli (in pieno centro, zona Cordusio), molte delle quali ancora inedite ma tutte scattate con l’amatissimo bianco e nero. Perché, spiega, «nelle immagini a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero è invece come un’illustrazione solo parziale della realtà. Chi la guarda deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola poco a poco in quell’interazione molto forte che si crea tra l’immagine e chi la guarda».

Ha scritto il critico tedesco Peter Sager: «Pur senza la minima traccia di sensazionalismo, le immagini di Salgado hanno una loro spettacolarità. I suoi vigili del fuoco sono eroi al lavoro, talvolta colti ai limiti dell’idealizzazione romantica quali personaggi di una tragedia antica. Sono immagini estreme di realtà estreme, dove il pathos e il gesto elegiaco emanano sia dai soggetti quanto dal modo in cui vengono rappresentati. Raccontano storie bibliche che Salgado cita con la passione dei teologi della liberazione del suo Brasile».