Sono attorno a noi, anche dentro le città. Ma spesso quasi non li notiamo e non ci rendiamo conto di quello che la loro presenza o la loro assenza può comportare. Gli alberi – e la natura in generale – hanno con l’uomo un rapporto stretto e profondamente interconnesso, che incide sul benessere non solo fisico ma anche mentale delle persone. Su questo indaga il libro Noi e l’albero, pubblicato da Corbaccio. Quella della neuropsichiatra infantile Valentina Ivancich, che alla formazione di medico unisce quella di giardiniere è, dati e studi alla mano, un’analisi approfondita e stupefacente di tutto ciò che il verde urbano riesce a fare. Un parco, dei viali alberati, delle aiuole: sembrano cose da poco. E invece la loro importanza è enorme per la qualità di vita del singolo e della comunità.
Dottoressa Ivancich, nel libro lei mette in luce come la presenza di alberi e verde ci aiuti sotto il profilo fisiologico ad esempio fornendoci un’aria più pulita o regolando le temperature di un ambiente urbanizzato, ma anche come essa agisca sulle fasi del nostro sviluppo e a livello delle nostre funzioni cerebrali, aiutandoci a tenere sotto controllo stress e ansie. È un meccanismo di interazione che agisce su più fronti contemporaneamente?
Sì, ed è qualcosa di molto complesso, un sinergismo nel senso di cose che succedono e che si rinforzano a vicenda. Ciò che salta di più agli occhi è la questione dell’aria pulita e di tutti i servizi ecosistemici, ossia di tutto ciò che fanno alberi, boschi e natura per rendere l’ambiente più vivibile, più sano possibile, più consono alle nostre necessità di organismi viventi. Ma poi ci sono molti altri effetti a livello di biologia e di metabolismo del nostro organismo. La cosa più incredibile è legata al livello psichico. Il potere rasserenante e calmante di una bella passeggiata ad esempio: oggi c’è chi se ne interessa andando a vedere il corrispettivo concreto a livello di attività cerebrale. Anche se da uomini moderni e tecnologici ce ne siamo allontanati tantissimo, siamo legati ancora molto alla natura, in maniera intricata e stretta.
Infatti la chiave che lei fornisce per spiegare il benessere che percepiamo a contatto della natura è che la stragrande parte della nostra evoluzione biologica è stata per così dire tarata su un ambiente naturale, diverso da quello delle città. A contatto con la natura il nostro meccanismo biologico torna quindi a funzionare come dovrebbe, cioè per quello che è progettato. È questo che intende?
Sì, ma non bisogna pensare a un ritorno alla natura nel senso di vestirci di pelle e andare a cacciare i Mammut. Occorre trovare dei modi per renderci di nuovo consapevoli di quanto sia essenziale questa specie di abitudine al contatto della natura, a tutti i livelli. Deve tornare ad essere una cosa quotidiana: così come io respiro, mi piace avere dell’acqua pulita, mi faccio la doccia, ecco che vado a fare una passeggiata al parco. Oltre che sugli effetti fisiologici, oltre che sullo sviluppo dei bambini e sul bene che fa questo contatto quotidiano, ci sono dei dati interessanti anche sulle ripercussioni a livello sociale che ha l’assenza o la presenza di verde nelle grandi città. Quando leggiamo che la presenza di verde urbano ha effetti a livello di umore generale di vicinato, di collaborazione fra persone o sulla coesione delle famiglie, abbiamo tutta una serie di dati che trascendono la biologia e la psiche individuale e che si pongono a livello di relazioni.
La questione del clima e dell’ambiente è prepotentemente alla ribalta oggi, anche grazie a personalità come quelle di Greta Thunberg estremamente mediatizzate e che si confrontano con questioni macroscopiche. Lei si concentra invece su quello che si potrebbe definire micro: un parco in città, per esempio, e i benefici forniti dalla sua presenza. Ritiene che i grandi argomenti che riguardano tutti noi si possano affrontare efficacemente partendo dal basso, a piccoli passi?
Penso che tutto sia correlato e che la cosa più importante sia quella di agire alle due estremità, sia sul macroscopico sia su quello che lei chiama microscopico, sulle consapevolezze e sulle abitudini individuali. Questo forse rende più concreto e più immediatamente significativo a livello personale quello che poi i grandi movimenti vanno a promuovere. Se la lotta per difendere il nostro ambiente, il posto dove viviamo, è una cosa che mi riguarda personalmente perché la vivo tutti i giorni, a quel punto viene meno il pericolo che le battaglie per il clima siano una cosa molto positiva e bella ma un po’ astratta.
Lei sottolinea spesso gli effetti del contatto con alberi e verde sullo sviluppo dei bambini. Come avviene?
L’attenzione selettiva che hanno i bambini per gli stimoli del mondo naturale è stata osservata varie volte. Anche questa probabilmente ha origini biologiche e fa sì che dando l’opportunità di periodi di esplorazione e di gioco nel mondo naturale, gli stimoli a curiosare, conoscere, capire come funzionano le cose siano molto numerosi, molto diversificati e in qualche modo trascinino tutta una serie di processi mentali che poi fanno crescere l’intelligenza a tutti i livelli, sia quella verbale che quella non verbale e pratica.
Concretamente, cosa possiamo fare nella vita di tutti i giorni per migliorarla attraverso gli alberi?
Direi ritrovare quella spontaneità nel frequentare parchi e luoghi naturali a noi vicini e anche, quando è possibile, quelli più lontani e più selvaggi. Come dicevo prima, si è perso un po’ di vista il fatto che si tratta di uno dei nostri bisogni essenziali. Non è una futilità pretendere di avere quella mezzora per andare a bighellonare in un parco o in un vero bosco. A livello di atti concreti credo che prendersi il tempo per queste attività sia qualcosa alla portata di tutti. Andare a mangiare il proprio panino in un parco è forse meno comodo ma può essere un modesto ma significativo primo passo.