Perché non giochiamo al rap?

TNS atteso il 13 di settembre
/ 19.08.2019
di Tommaso Naccari

Un concetto che in Italia fatica a farsi spazio, è quello del «rap game». Non il concetto di «rap», in solitaria, quello è ovunque, dalle playlist di Spotify ad Amici, passando per le pubblicità del Kinder Merendero e simili. Ma quello di «stupido gioco del rap», un genere in cui la competizione è alla base di tutto, il confronto di tecniche e metodo è il primo passo per giocare. Ci stanno provando in tanti, in realtà, a far emergere questo aspetto dalla propria musica, ma chi lo fa, sembra sempre pentirsene, visto che il mercato italiano è una torta piccolissima, e condividere anche solo una parte della propria fetta rischia di portare alla fame.

E quindi, in che modo in Italia ci possiamo godere «lo stupido gioco del rap»? Be’, con i dischi dei produttori. Pezzi è stato uno degli album più interessanti degli ultimi anni, proprio perché ci ha regalato degli esperimenti che altrimenti non avremmo mai visto: ci ha regalato un nuovo Luché, Rkomi e Gue Pequeno insieme, ci ha fatto capire quanto CoCo e Mecna stessero bene, insieme, sulla stessa traccia. Ancora più di questo Zero Kills, in cui i Casino Royale si sfidavano con Ensi, mentre Pat Cosmo divideva la traccia con Ghemon.

Bene, il 13 settembre arriverà il nuovo disco di TNS. Non si sa molto, o meglio, non si sa nulla, se non il numero di rapper che cavalcheranno le diverse tracce presenti all’interno: 25. Venticinque rapper in un album è un numero esorbitante, neanche Machete Mixtape Volume Quattro è arrivato a tanto, per citare l’ultimo album collettivo italiano, nonché quello di maggior successo.

Gli esperimenti sono qualcosa all’ordine del giorno negli USA: Kanye mette tutta la Good Music a remixare brani già esistenti e a crearne di nuovi, i rapper più potenti e famosi fanno a gara a chi crea la strofa più evocativa sul brano del momento – basta guardare Lil Nas X e Old Town Road quanti rifacimenti può contare. In Italia succede di rado, ma perché?

La speranza è che The Night Skinny ci regali qualcosa che non sappiamo di volere, ma del quale poi non potremo più fare a meno. Come allora ci aveva regalato un Luché dal flow cantilenato, come anni fa ci aveva regalato un nuovo Achille Lauro o lo stesso aveva fatto con Johnny Marsiglia. Il disco di Skinny può essere anche il campo di prova per la «vecchia scuola» di cimentarsi con la «nuova scuola», di unire gli stili, mischiarsi, appunto sperimentare. In una parola sola: giocare.

Perché il rap, seppur stupido, rimane un gioco e senza il gioco manca il divertimento, senza il divertimento anche il successo non diventa che un miraggio. The Night Skinny ha già dimostrato di sapersi cimentare su ogni tipo di base, con ogni tipo di liricista. Non resta dunque che aspettare il 13 settembre, provare a fare il toto-nomi e sperare di non indovinarne neanche uno.