Per uno Shakespeare fatto a pezzi

A teatro con il «Riccardo III» di Opera retablO e per le strade di Fescoggia per un appuntamento con il passato e con l’identità
/ 21.10.2019
di Giorgio Thoeni

Nel Riccardo III di William Shakespeare, scopriamo che nella femminilità di Lady Anna si annida una sessualità sadomasochista, vittima delle sue ambizioni e del suo nudo narcisismo. Nel Macbeth, di rincalzo, la tragedia naviga nel mare dell’ambizione e della paura o, come la definiva Jan Kott in Shakespeare nostro contemporaneo, in una lotta per il potere e la corona di contagiati dalla morte. Attraverso l’incubo di questa Black Lady si cela la grandiosa metafora della storia mostrata come un meccanismo affascinante, minaccioso e irrevocabile nell’orrore delle sue fantasticherie. Nei capolavori del Bardo il ruolo della donna è senza dubbio controverso, da valenza poetica a tavolozza lugubre, diabolica e perversa. Pane per la visione di Ledwina Costantini nell’aggiungere un altro segmento alla sua geometria teatrale con l’affollato paesaggio onirico e simbolico di Lady Macbeth, recente produzione di Opera retablO al suo debutto sul palco del Teatro Sociale di Bellinzona con in scena, oltre alla regista e interprete, Daniele Bernardi e Piera Gianotti.

Un teatro fatto di segni, di corporalità, dove la dimensione del gesto e della provocazione intellettuale si sommano in un discorso ambizioso, spesso criptico, sulla violenza del potere e il ruolo della donna nell’opera del drammaturgo elisabettiano. Da una grande scacchiera sghemba e inclinata si aprono botole da cui escono personaggi. Come un Fool figlio del diavolo che si compiace nell’allestire il banchetto che verrà consumato da un’avida regina, una grande e fatale abbuffata a base di frutta, verdura e corone biscottate: eros, thanatos e gastros nel confronto fra necessità e piacere.

Un piccolo manichino (e uno grande), teste mozzate, sonorità inquietanti, urla lancinanti, risate sguaiate e corpi seminudi fanno da cornice al corteo di un Bardo smembrato, fatto a pezzi da un teatro fisico in cui rari momenti di parola registrata assumono un respiro teatrale particolare grazie a una dolce musicalità romancia. Variante di una cruda alternanza di vita e morte, di bianco e nero in una giostra della foemina triumphans che, nonostante il rigore e la bravura degli interpreti con l’efficacia di costumi e scenografia (Caterina Foletti, Michele Tognetti), apre spazi di perplessità su una lettura a senso unico. Un retrogusto di privazione per l’assenza di una pennellata poetica nella logica di un teatro della crudeltà.

Una comunità ricorda la sua storia

L’idea giusta e una buona dose di entusiasmo possono trasformare la notte in una bella pagina di storia identitaria animando viuzze e piazzole di un paesino ticinese. Fescoggia, incantevole villaggio dell’Alto Malcantone ha trasformato il suo nucleo in un suggestivo palcoscenico a cielo aperto per Well, Come Home!, un progetto di Elena Morena Weber e Oliver Kühn, il racconto di un ritorno al paese dopo anni di assenza che si fa incontro con il passato attraverso la rievocazione di immagini e personaggi, compaesani divenuti famosi. Come Domenico Trezzini, l’architetto di Astano che progettò San Pietroburgo per lo zar Pietro il Grande. Come Filomena Ferrari, una contadina partita da Monteggio per diventare una delle prime donne imprenditrici. O come l’irrequieta e romantica danzatrice ottocentesca Giacomina «Amina» Boschetti, ma anche Roqué Gastón Maspoli, nato a Montevideo e originario di Caslano, leggendario portiere della nazionale dell’Uruguay degli anni Cinquanta.

Protagonisti mossi sulla falsariga della nostalgia di un passato da cui affiorano figure femminili: dalle vivaci beghine con i loro pettegolezzi a occasionali raccontatrici, donne di una comunità che difendono la loro identità dall’oblìo, fra le mura di un nucleo simbolo di una ruralità dalle solide tradizioni. Un’avventura malcantonese che, all’insegna del motto La vita è una lotteria, si conclude con una risottata alle castagne (cibo povero ma fondamentale) preparata per il pubblico (Lino Gut) nell’antico convento di Fescoggia trasformato in Sosta d’arte.

L’iniziativa ha tenuto banco per alcuni fine settimana richiamando parecchio pubblico festante che ha reso omaggio alla moltitudine di personaggi, fra attori professionisti, amatoriali e comparse. Ci piacerebbe citarli tutti… vogliamo almeno a ricordare la simpatica guida di Oliver Kühn, l’Io narrante di Elena Morena Weber, l’intensa Ioana Butu, la leggiadra Camilla Parini, l’efficace monologo di Monica Muraca, l’officiante Matteo Oleggini, l’atletico Maximilian Friedel e, last but not least, la chitarra di un ispirato Sandro Schneebeli.