Kirottua! Kuka on pååssyt jåljilleni? È la prima frase (tradotta in finlandese, ma avremmo potuto citarla in molte altre lingue) pronunciata da Tex Willer all’inizio della sua saga, 70 anni fa. In italiano la mitica battuta originaria suonava così: – Per tutti i diavoli, che mi siano ancora alle costole?
Da questa frase possiamo già inferire almeno tre cose: Tex è stato tradotto in varie lingue ed è noto anche ben fuori dai confini italiani (e europei); il suo linguaggio è una deliziosa miscela di esclamazioni-imprecazioni-iperboli da una parte e eleganti congiuntivi dall’altra, duro e gentiluomo al contempo, proprio come lui; la dinamicità contraddistingue ogni minuto della sua vita e i momenti in cui può tirare il fiato sono ben pochi, perché là fuori c’è sempre un cattivo, «alle costole», da affrontare.
Basterebbero questi pochi spunti per comprendere il suo straordinario successo. Sono passati settant’anni, l’Italia ha visto la ricostruzione dopo la guerra, il boom economico, gli anni di piombo, la rivoluzione digitale, l’immigrazione di massa e mille altri cambiamenti culturali, politici e sociali, eppure Tex resta un’icona. È straordinario, se ci si pensa: dopo settant’anni, Tex resta il fumetto più longevo e più venduto in Italia. E anche se non lo si è mai comprato, dici Tex e ti viene in mente quel cow-boy. Quell’uomo dall’espressione volitiva e malinconica che non si tira indietro di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. Non solo nel suo West, ma anche nel nostro mondo, c’è sempre un po’ di male da affrontare. Quote variabili di arroganza e violenza da sconfiggere. Per questo amiamo Tex. Perché ci servirebbe, uno come lui; perché in fondo vorremmo tutti essere lui.
Poi c’è la dimensione dell’avventura, che ti trascina dentro, e soprattutto c’è quell’atmosfera epica e fuori dal tempo che, anche settant’anni dopo, non lo fa invecchiare. Anzi, è proprio quel rimanere fedele a se stesso, senza cedere alle mode passeggere, né cercare facili compiacimenti per rendersi «attuale», che lo rende più credibile e gli dà spessore.
Il primo albo di Tex uscì il 30 settembre del 1948: gli edicolanti che quel giorno lo vendettero non potevano immaginare che quel personaggio, creato da Gianluigi Bonelli e realizzato graficamente da Aurelio Galleppini, sarebbe diventato un eroe amato da molte generazioni, come testimoniano, oltre che i numeri delle vendite, anche i ragazzi che in questi giorni, con i padri e i nonni, abbiamo visto visitare la bella mostra che lo celebra a Milano.
La mostra si intitola Tex. 70 anni di un mito, è aperta dal 2 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019 al Museo della Permanente di Milano ed è curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore. È una mostra allestita molto bene, che attraverso disegni, fotografie, materiali rari e installazioni a tema ripercorre l’epopea dell’eroe, coinvolgendo i visitatori e dando la possibilità, anche a coloro che non ne conoscono le storie, di comprenderne il valore e le ragioni del successo. Attraverso Tex, ci si immerge anche in sette decenni di storia italiana e si entra nel tessuto culturale e sociale che ne ha via via definito i mutamenti. Inoltre, la mostra è una straordinaria lezione sul fumetto: ammirando sia le numerose tavole, realizzate dagli artisti che si sono succeduti e che si alternano nel dare vita al personaggio, sia l’interessante filmato che spiega le varie tappe e le varie competenze nella realizzazione di un fumetto, si comprende tutta la complessità e la ricchezza di questo genere narrativo fatto di parole, di immagini e di vere e proprie «messe in scena».
L’inizio fu artigianale e partì dalla Redazione Audace – oggi Sergio Bonelli Editore – fondata a Milano da Gianluigi Bonelli, che inventò Tex e ne creò le storie originarie, affidandosi, per le immagini, ad Aurelio Galleppini (in arte Galep). Il ruolo imprenditoriale venne gestito dalla moglie di Bonelli, Tea Bertasi, che insieme al figlio Sergio completava il personale di questa piccola azienda di famiglia, come ebbe a ricordare nel ’98, in occasione del cinquantesimo, lo stesso Sergio Bonelli: «la Casa editrice è formata da mia madre, da una segretaria e da me che faccio il fattorino. Gli ambienti di casa sono diventati la redazione[...]. Aurelio vive e lavora in una stanza-studio di fianco a quella in cui dormo io. Quando all’una di notte, dopo aver letto a lungo, spengo la lampada sul comodino, la luce della stanza di Galep filtra ancora attraverso la porta. Non so dire fino a che ora rimane al lavoro. Ma quando mi alzo per andare a scuola, eccolo di nuovo seduto al suo tavolo a mostrarmi un mucchietto di strisce ricche di immagini dinamiche e affascinanti: è nato Tex Willer».
In anticipo sui tempi, Tex è anche un intelligente e lungimirante esempio di rispetto per le altre culture: nelle sue storie, i nativi americani non sono gli antagonisti cattivi né gli ingenui selvaggi. Sono persone, con la loro dignità e la loro individualità specifica. «Buoni» o «cattivi», proprio come i bianchi. Lui stesso, integra nella sua persona entrambi i mondi: ranger infallibile per i bianchi, saggio capo Aquila della Notte per i Navajos. Suo figlio ha sangue misto, perché l’amata e mai dimenticata moglie di Tex – poi uccisa dai bianchi – è Lilyth, la figlia del vecchio capo indiano. Sarà spesso al suo fianco, questo figlio, insieme all’amico bianco Kit Carson, più anziano e brontolone ma sempre forte e coraggioso, e all’amico navajo, il fiero e imperturbabile Tiger Jack.
Sullo scalone che porta alla Mostra campeggiano le locandine delle tante mostre (più piccole di questa ma pur sempre notevoli) dedicate negli anni a Tex. Tra di esse, una attira la nostra attenzione: è del 1994, si intitola Tex a Lugano, è promossa dalla Città di Lugano, da Sergio Bonelli Editore e da Innovazione. L’immagine, del grande Galep, fa comparire Tex, in sella al suo Dinamite, in Piazza Dante. La chiesa di Sant’Antonio a sinistra, i grandi magazzini di fronte, via Luvini e via Pessina che si profilano a sinistra. È bello pensare che gli zoccoli del suo cavallo imprimano il loro passo anche sulle nostre strade: nella sua ruvida semplicità, il coraggio di Tex nel mantenersi fedele ai valori conforta e incoraggia.