Un secolo fa, a Weimar, capitale provvisoria dello Stato federale scaturito dal crollo dell’impero tedesco, nacque il Bauhaus, scuola di architettura, arte e design fondata da Walter Gropius. Gli obiettivi di questa istituzione rivoluzionaria furono fin da subito molto chiari: «riunificare in una nuova architettura, come sue parti inscindibili, tutte le discipline pratico-artistiche». L’idea era quella di abolire la distinzione classista tra artigiani e artisti per formare una categoria capace di coniugare lo studio della forma estetica con la funzionalità pratica, arrivando così a costruire «l’edificio del futuro».
Nei suoi quattordici anni di vita (cessò di esistere nel 1933, a Berlino, perché inviso al regime nazista), il Bauhaus accolse più di mille studenti istruiti dal fior fiore dei docenti europei, e con loro molte delle idee che avrebbero contribuito all’affermazione del Movimento Moderno, corrente d’innovazione nei campi del design e dell’architettura basata sullo stretto rapporto tra arte, industria e tecnologia.
Primo fra tutti a essere chiamato da Gropius a insegnare a Weimar fu Lyonel Feininger, tra le figure maggiormente legate agli esordi del Bauhaus anche per aver realizzato la xilografia della copertina del manifesto dell’istituzione, opera in cui campeggiava l’immagine simbolica di una cattedrale sormontata da una torre sulla quale confluivano tre raggi luminosi a rappresentare le tre arti maggiori. Al Bauhaus Feininger avrebbe insegnato fino al 1926 ma sarebbe stato vicino alla scuola fino alla sua chiusura.
Illustratore, pittore e grafico, nato nel 1871 a New York da genitori tedeschi, entrambi musicisti, Feininger si trasferì appena sedicenne in Germania per rimanervi per oltre cinquant’anni, sino a che, con l’ascesa al potere dei nazionalsocialisti, venne bollato come artista «degenerato» (con la rimozione dai musei di quasi quattrocento dei suoi lavori) e costretto a fare ritorno negli Stati Uniti.
Nell’anno in cui si celebra il centenario del Bauhaus, il Museo Castello San Materno di Ascona dedica a Feininger, l’americano divenuto europeo che nella scuola trascorse uno dei momenti più stimolanti e prolifici della sua carriera, una mostra incentrata su due soggetti a lui particolarmente cari, ovvero il mare e le navi.
Le opere selezionate per la rassegna, tutti prestiti provenienti da collezioni private di Europa e Stati Uniti, documentano difatti come questi temi siano stati una presenza costante nella produzione di Feininger e siano stati proposti nel tempo in immagini sempre più incisive, trasformandosi in visioni cariche di sentimento puro verso la natura e la vita che pulsa al suo interno.
I paesaggi marini e le imbarcazioni conquistarono l’artista fin dalla sua tenera età, osservati sullo stretto marittimo dell’East River di New York con occhi fanciulleschi carichi di stupore per il vivace mondo che ruotava loro attorno. Per questo l’universo figurativo legato al mare comparve già nelle opere degli esordi di Feininger, quando, dopo gli studi d’arte ad Amburgo, Berlino e Parigi e dopo i primi lavori di caricaturista, nel 1906 diede vita in qualità di illustratore al fumetto per il «Chicago Sunday Tribune» dal titolo The Kin-der-Kids (di cui la rassegna asconese espone alcuni pastelli), incentrato sulle vicende di tre esuberanti ragazzini che navigavano per il mondo dentro una vasca da bagno.
La decisione di diventare pittore fu corroborata in modo determinante dalla frequentazione della capitale francese, dove l’artista si recò, sempre nel 1906, per studiare all’Académie Colarossi e trarre stimolo dalle opere di Cézanne e Van Gogh, e dove scoprì, con la partecipazione nel 1911 al Salon des Indépendants, il cubismo di Braque e Picasso. Fu allora che Feininger incominciò a fare del mare e delle navi i soggetti prediletti dei suoi acquarelli, delle sue stampe e dei suoi dipinti. E li rappresentò con quel linguaggio che proprio i cubisti gli avevano insegnato, uno stile sintetico e semplificato che aveva saputo rielaborare in maniera autonoma, rendendo essenziali le figure nello spazio senza però mai distaccarsi completamente dal dato reale.
Grazie ai frequenti viaggi sulle spiagge del Mar Baltico, soprattutto sull’isola di Usedom, che dal 1911 fu la meta preferita dei suoi soggiorni estivi, Feininger immortalò imbarcazioni di ogni sorta, dai grandi velieri ai piccoli pescherecci, e poi i litorali e gli scogli, i fari e le banchine, i tramonti e la vastità del mare: pretesti per catturare il vero, scomporlo in forme cristalline e restituirlo nella sua essenzialità.
Nel frattempo l’artista conobbe i pittori del gruppo Die Brücke, entrò in contatto con quelli del Der Blaue Reiter e divenne, come si è detto, insegnante al Bauhaus, tutte esperienze che arricchirono e portarono a maturazione la sua arte.
Il legame con la tematica del mare si fece poi ancora più forte quando, nel 1924, Feininger scoprì sulle coste baltiche della Pomerania un piccolo villaggio di pescatori chiamato Deep, che amava esplorare in bicicletta portando sempre con sé un blocco su cui schizzava ciò che più colpiva il suo sguardo, annotazioni strappate alla natura che gli servivano come spunti da cui desumere nuovi soggetti per le sue opere.
Nel percorso della mostra di Ascona bella è la selezione di xilografie, tecnica a cui Feininger si dedicò a partire dal 1918, e quella di acquarelli, lavori eseguiti soprattutto nella stagione estiva in cui l’artista raffigurò vedute marine con grande immediatezza espressiva (si veda ad esempio l’opera La nave arenata, del 1922). Negli oli su tela, poi, Feininger riuscì a trasfigurare il mare in immagini dove al sentimento mistico della natura si accompagnava un’intonazione visionaria di matrice nordica: nel dipinto Musicista cieco sulla spiaggia la figura del suonatore, di un vivido arancione, sembra quasi fondersi con le agitate acque grigie solcate da due imbarcazioni appena abbozzate sullo sfondo.
Anche quando Feininger fece ritorno negli Stati Uniti i paesaggi marittimi e le navi continuarono a essere un tema fondamentale della sua arte: il ricordo delle coste baltiche non si era minimamente affievolito, e il mare permetteva ancora all’artista di trasporre nelle sue opere la propria anima.