Parola del Boss

Bruce sbarca a Broadway: il nuovo exploit live del Boss mostra un artista dal vigore di sempre, ma pericolosamente in bilico sull’orlo di un egocentrismo a lui alieno
/ 18.02.2019
di Benedicta Froelich

Ogniqualvolta ci si ritrova a recensire un disco di un mito assoluto quale Bruce Springsteen (idolo di milioni di fan in tutto il mondo e cantore universale di una certa, popolare e democratica America), il rischio di indugiare in frasi fatte è sempre molto alto – soprattutto qualora si debba affrontare la retrospettiva di una carriera che sta ormai per superare la ragguardevole boa del mezzo secolo. Perché se è vero che Bruce è uno dei pochi rocker statunitensi ad essere riusciti a guadagnarsi un seguito pressoché universale, influenzando il pubblico di ogni continente e di qualsiasi background socioculturale, è altrettanto vero che il vederlo tentare, a quasi settant’anni d’età, una sorta di «autocelebrazione» della propria vita e carriera non è, forse, quanto i fan più affezionati si aspettavano dal loro eroe.

Invece, alla fine del 2017 Springsteen ha voluto dare vita a una tournée completamente diversa dalle precedenti: un recital a metà strada tra concerto acustico e monologo teatrale, ispirato alla sua autobiografia Born to Run, pubblicata l’anno prima. Così, lo spettacolo che per ben 14 mesi ha animato, sera dopo sera, il palco del Walter Kerr Theatre di New York, ha proposto il Boss in veste di vero e proprio storyteller – e, nell’atmosfera rilassata e raffinata di un piccolo auditorium, lo ha visto ripercorrere la propria vita e carriera in chiave solista, con il solo ausilio di voce, chitarra e pianoforte. E dato che lo show è oggi divenuto un film-documentario prodotto da Netflix, ecco che, come da copione, non poteva mancare una versione audio su doppio CD per i fan desiderosi di rivivere quei momenti.

Ciò che l’ascoltatore si trova a sperimentare è quindi una via di mezzo tra un monologo teatrale e un concerto rigorosamente unplugged, un one-man-show della durata di ben due ore e mezza, secondo le abitudini di colui che è probabilmente il performer più vigoroso e potente del rock internazionale; ed è un vero guaio che, nonostante l’abituale simpatia e affabilità di Bruce, questo esperimento lo veda scadere in più di un’occasione nel più autentico narcisismo. Così, mentre la star racconta del «miracolo americano» che le ha permesso di sfuggire a una squallida infanzia nel New Jersey per diventare un mito assoluto (spiegando inoltre a un divertito pubblico come, nonostante il proprio impegno nel descrivere la dura vita di innumerevoli vittime della classe operaia, lui non abbia mai neppure intravisto l’interno di una fabbrica!), ecco che a tratti si crea una strana contraddizione: da un lato, nonostante la voce di Springsteen non sia più quella di un tempo, le sue rivisitazioni scarne e acustiche di molti dei classici di un’intera carriera conservano qui tutta l’eccellenza e l’energia di sempre.

Allo stesso tempo, tuttavia, gli ascoltatori dotati di vera padronanza dell’inglese rischiano di scoprirsi più volte a desiderare che il Boss si zittisca almeno per qualche secondo, così da dare infine la precedenza alle canzoni, anziché insistere a introdurre ogni brano con interminabili e spesso ridondanti chiacchierate. In effetti, non sarebbe probabilmente stata una cattiva idea quella di limitare la versione audio dello show alle esecuzioni musicali, soprattutto in quanto, a lungo andare, i goliardici e alquanto teatrali racconti di Bruce finiscono per suonare un po’ ripetitivi (proprio come il suo uso continuo dell’aggettivo «fucking» , che qui assurge quasi a base del vocabolario).

Al di là di tutto ciò, comunque, l’estrema professionalità di Springsteen brilla come sempre lungo l’intero album, facendo di ogni versione acustica un autentico breviario del cantautorato americano d’alto livello; di conseguenza, On Broadway resta, come giusto, un disco imperdibile per qualsiasi suo vero ammiratore. Dal brano d’apertura Growin’ Up, utilizzato come introduzione alla prima giovinezza dell’artista, si ripercorrono così veri e propri capisaldi del repertorio, selezionati in modo da fornire una sorta di istantanea artistica di ogni decennio della sua carriera. Pezzi «vintage» imprescindibili quali Born in the U.S.A. e Dancing in the Dark si ritrovano affiancati a ballatone storiche del calibro di Thunder Road e, naturalmente, dell’immancabile Tougher Than the Rest, che vede il gradito ritorno di Patti Scialfa, musa per eccellenza del Boss; e la tracklist si dipana lungo le varie fasi della produzione artistica del rocker, fino ad arrivare a brani più recenti e dalla maturità narrativa più marcata, tra cui The Ghost of Tom Joad e The Rising (i quali, nel finale dello show, devono tuttavia lasciare il posto al tormentone Born to Run).

Ed ecco che, alla fine del disco, l’unico, vero rimpianto dell’ascoltatore smaliziato è rivolto proprio all’ego di Bruce: poiché, se non fosse per quell’enfasi da primadonna che si affaccia con troppa prepotenza sulla scena, On Broadway potrebbe davvero divenire un classico imprescindibile del catalogo rock anche per il grande pubblico, e non soltanto per i fan più accaniti del Boss.