Parlare come una donna

Le eventualità della lingua delle donne e di quella degli uomini in un bel saggio della linguista Rita Fresu
/ 09.12.2019
di Stefano Vassere

Non è per nulla difficile trovare nella pubblicistica anche più sostenuta l’allusione a differenze, ancora piuttosto lontane dall’essere dimostrate concretamente, tra un parlare (e scrivere) femminile e quello maschile. Così, quasi a caso, si legge una recensione che qualche settimana fa Michela Marzano ha dedicato a un libro di Sandra Petrignani sul bel «Robinson» di «Repubblica», che si intitola (la recensione) La parola femmina. E, più o meno a quell’epoca, c’è una lunga intervista (anche lei nel bel «Robinson») a David Grossman, il cui titolo è questa volta Non scrivo più da maschio. Nella prima si teorizza la diversità tra lo scrivere maschio e lo scrivere femmina, perlopiù per lodare di quest’ultimo una maggiore attrezzatura morale. Nella seconda Grossman ci racconta come in un suo nuovo libro la «sfida» maggiore sia stata quella di «scrivere come se fossi» non una (intendendo che sarebbe già stata impresa fuori portata dei più) ma «tre donne, una 90enne, una 65enne e la terza 40enne».

Viene a proposito un innovativo saggio della linguista Rita Fresu dedicato alla verifica di una convinzione (pseudo)scientifica storica, basata sul fatto che i generi svilupperebbero codici diversi, e, di più, su quello che il canone più neutro sarebbe quello maschile; come a dire che la lingua maschile sarebbe una vera e propria norma e quella femminile uno scarto. Ora, ben più di qualche morfologia sbagliata nell’indicazione dei mestieri al femminile o di qualche maschile neutro o non marcato nella lingua di tutti i giorni, è chiaro che questo costume appare discriminatorio nell’essenza.

Negli anni Settanta, il sociolinguista americano Robin Lakoff (molti lo confondono con il cognitivista George Lakoff, che pure si è occupato di effetti psicologici delle discriminazioni linguistiche) tipologizzava la lingua delle donne come timorosa di incorrere in giudizi negativi, dunque conservativa e il più possibile ripiegata sulla norma e aderente al prestigio linguistico, con il ricorso ad attenuativi, «gentilismi», garbo, affettività, emozione. Una sorta di «lingua in difesa», insomma.

Di fatto un numero non indifferente di studi ha dimostrato che raramente si riesce a isolare tratti linguistici o stilistici che siano esclusivamente femminili. O meglio che eventuali differenze in questo senso sono, se ci sono, un artefatto dovuto a variazioni sociali e di situazione. Diversa è piuttosto l’attenzione al modo con cui osservatori esterni qualificano il linguaggio delle donne e degli uomini, alla percezione e ai giudizi che si danno sul carattere più o meno maschile o femminile del parlare. «A tale proposito – dice la Fresu – vale la pena ricordare che uno degli aspetti innovativi dei sondaggi dell’ultimo quindicennio consiste proprio nell’affermazione di un’immagine negativa del comportamento linguistico maschile».

I giudizi di bambini e adolescenti nella seconda parte del testo della Fresu (bisogna dire «di Fresu»?, pardon…) sono, al netto degli aspetti tecnici che si lasceranno all’eventuale e paziente lettore, molto vistosi. I ragazzini tendono a essere convinti che la produzione linguistica vada differenziata e che esista di fatto «una diversità di linguaggio tra generi». Ma la tendenza più interessante è quella che fa dire ai piccoli osservatori che il linguaggio più inusuale non sarebbe più quello femminile ma ormai quello maschile. Messo di fronte a un testo scritto da un uomo e richiesto di darne una valutazione, dice per esempio un piccolo informante: «non è stato chiaro nella descrizione, non ha dato una terminologia giusta; i maschi sono più incerti, i maschi non specificano tanto». E poi: «fa troppo ridere, è tutto quanto strano; è molto, molto, molto molto ma molto strano, il suo modo di scrivere è un po’ più strano».

Bibliografia
Rita Fresu, Il linguaggio femminile e maschile nell’italiano contemporaneo: orientamenti e linee di tendenza, in L’italiano che parliamo e scriviamo, a cura di Sabina Gola, Firenze, Franco Cesati Editore, 2019.