Netflix affida il timone ai fratelli Gédéon e Jules Naudet per la realizzazione dell’affascinante documentario che narra le vicende dei sopravvissuti alla strage terroristica del 13 novembre 2015 a Parigi. L’opera è divisa in tre episodi dalla lunghezza di un’ora circa. Il primo capitolo si apre con le parole di uno speaker radiofonico che introduce quello che apparentemente è un soleggiato venerdì mattina qualsiasi. Interessante è il modo in cui il documentario accentua il sentimento di beatitudine di cui Parigi era permeata poco prima dei fatti: una sensazione di spensieratezza, ove gli abitanti pensavano solamente al divertimento dopo una settimana di lavoro. Si è inondati dalle emozioni positive, quasi si trattasse dell’ultimo respiro prima di entrare nell’abisso della tragedia.
Il primo episodio si focalizza sulla partita di calcio fra Francia e Germania allo Stade de France, mettendo in evidenza lo stato d’animo degli spettatori e degli addetti alla sicurezza prima dell’attentato raccontato attraverso le loro testimonianze. Improvvisamente dallo stadio si sente la prima esplosione, proveniente da un bar appena fuori, cui seguono le prime drammatiche dichiarazioni da parte di un uomo che per miracolo ha ritrovato sano e salvo il figlio. Poi il documentario sposta l’attenzione sui caffé francesi poco prima che venissero colpiti dagli attentati. La formula adottata è sempre la medesima: preludio iniziale sulla serenità delle persone prima della tragedia e l’impatto che quest’ultima ha sulle loro vite. È un tipo di narrativa molto funzionale, lo spettatore si immedesima nelle testimonianze sincere, mai caricaturali e sempre differenti da un sopravvissuto all’altro. Si ha la possibilità di entrare nell’ottica degli attentati, in modo diretto e confidenziale, come se si stesse parlando personalmente con i superstiti.
Il vero momento di commozione e terrore lo si prova negli episodi che si concentrano sull’attentato al Bataclan durante un concerto. I registi si affidano qui ad una decina di testimoni, che raccontano l’incubo tra platea e balconate, paragonandolo all’inferno di Dante, focalizzandosi su suoni, odori e visioni: dal silenzio inverosimile tra una scarica e l’altra dei Kalashnikov, all’odore della polvere da sparo e del sangue che infiamma le narici penetrando per sempre nel ricordo dei sopravvissuti, alla visione finale dei cadaveri impilati l’uno sopra l’altro.
Ed è proprio in queste situazioni di fragilità umana che emerge il pensiero di considerare veramente la vita di chi ti sta attorno. Nella serie a ricordarcelo ci sono quelle centinaia di telefoni che squillano, alla disperata ricerca di chi spesso non c’è più.