Quella che è stata archiviata la scorsa settimana può contare su un bilancio più che positivo: pubblico numeroso, competente e curioso, spettacoli di livello, all’altezza delle aspettative. In effetti, la 28esima è stata una delle edizioni più originali del FIT che in qualche modo hanno saputo raccontare la scena contemporanea. Un festival internazionale si legittima se crea l’opportunità di passare in rassegna quanto c’è di meglio, informando così il pubblico su nuove tendenze. Quelle che andranno a incidere maggiormente fuori dai circuiti più blasonati e che poi finiranno per far scuola anche da noi.
Possiamo ritenerci fortunati se FIT e LAC riescono a dare continuità a una rassegna dalla quale nascono stimoli e discussioni grazie a proposte che quest’anno hanno spaziato dal teatro documentario come con Rimini Protokoll, Lola Arias o Milo Rau, a storie individuali che sono riuscite a creare un ponte con la storia come con Jaha Koo, Winter Family, Rudi Van der Merwe e altri. Non possiamo commentare tutti gli spettacoli, ma alcuni di essi meritano di essere visti più da vicino, se non altro come sorta di confronto di opposte teatralità.
Come il ritorno al FIT di Boris Nikitin con Attempt On Dying (Tentativo di morire). Spiazzante e in un certo senso antiteatrale, l’artista basilese si è presentato al centro del palco del Teatro Foce seduto su una sedia con un mazzo di fogli in mano per una solitaria sequenza con pochi elementi. Una lettura di un’ora con misurate e meditate pause, sguardi sulla platea, una leggera correzione di luce, gestualità misuratissima, quasi assente, una tensione che conquista: per tutto il tempo non vola una mosca. La lingua scelta è l’inglese. Il testo è autobiografico e descrive un doppio coming out: la sua ammissione di essere gay e la sofferenza per l’inesorabile SLA che affligge il padre che opta per un suicidio assistito ma poi, ironia del destino, muore a causa di un’infezione. Fatti che assumono una dimensione conflittuale, fra interrogativi reali e simulazione della verità attraverso un testo intenso, profondo, lineare ma controverso, dove la storia personale si tuffa in un mondo interiore abbracciando la filosofia dell’essere e del divenire, un’immersione nei meandri dell’individuo, della paura di dover nascondere o celarsi dietro apparenze.
Un’eterna battaglia fra amore e morte, fra Realität e Wirklichkeit in un vulnerabile equilibrio. Nikitin gioca anche con l’inglese con vulnerability che trasforma in ability for vulner: criptonite difficile da digerire. Un imbarazzo reso ancor più significativo dal canonico scambio finale con le domande all’artista, una breve giostra di risposte fra profondità esistenzialiste e dubbi sulla teatralità della performance che non hanno del tutto convinto.
Decisamente più efficace la dirompente zampata di taglio cinematografico di Proton Theatre con Imitation of Life del regista ungherese Kornél Mundruczó: fasci di luce suggestivi, sonorità inquietanti, uso della videocamera per metaproiezioni evanescenti e la scenografia di un interno casalingo distribuito in un gigantesco cubo rotante. Senza dimenticare l’ottima prova recitativa, a cominciare dalla strepitosa Lili Monori con un iniziale impatto, efficace e dal taglio realistico. Il tutto a conferma del valore di un’opera che ha collezionato ovunque riconoscimenti e critiche entusiaste. La trama si ispira a un fatto di sangue fra due rom avvenuto a Budapest nel 2015 che ha sconvolto l’opinione pubblica. La storia immaginata dal regista ruota attorno a una dimensione barbara, primaria, spesso disperata, relegata al più basso gradino della scala sociale. Mundruczó ne approfitta per creare una metafora kafkiana su quesiti attorno a un’umanità intrisa di disarmante squallore.
Di tutt’altra natura la Winter Family con 2H-Hebron, un’ora tutto d’un fiato, un’apnea senza empatia o ricerca di emozioni di Ruth Rosenthal nella ricostruzione per modellini della dimensione sconcertante di Hebron. Una visita guidata nella città palestinese murata, luogo di incomprensione, una realtà verso la quale sembriamo spettatori insensibili e impotenti.