Mary Astor era un’attrice hollywoodiana con il nasino all’insù, non di primissimo piano (sono altri i nomi che vengono in mente quando parliamo di grandi star). La ricordiamo in Il mistero del falco di John Huston, primo film girato nel 1941 dal regista che fino a quel momento aveva lavorato solo come sceneggiatore. Si presenta al detective privato Sam Spade – Humphrey Bogart più ingrugnito che mai – come Miss Wonderly, nome che puzza di finto lontano un miglio.
Scopriamo quasi subito che porta l’irlandesissimo nome di Brigid O’Snaughnessy, e che il nome falso non era l’unica bugia. «Abbiamo creduto ai dollari, non alle sue parole» precisa con la solita malagrazia il Sam Spade inventato da Dashiell Hammett. Lo dice al plurale, giacché divide l’ufficio di San Francisco con il socio Miles Archer. «Divideva»: hanno appena trovato Archer cadavere in un vicolo. Una trappola in cui un detective esperto – deduce Spade sempre con il grugno – si sarebbe potuto infilare solo su invito di una bella ragazza come Brigid.
Il mistero del falco – titolo originale The Maltese Falcon – era un noir come non se ne girano più. Il titolo viene da un falcone preziosissimo, secoli fa donato dai Cavalieri di Malta al re spagnolo Carlo V. «Come non se ne fanno più» vuol dire che la trama è intricata al limite dell’incomprensibile. E che il cast – ai nostri occhi perfetto, il film non sarebbe lo stesso senza Mary Astor o Peter Lorre – è il frutto di una vorticosa girandola. A quei tempi le scelte del regista devono fare i conti con il fatto che gli attori e le attrici venivano messi sotto contratto dalle grandi case di produzione per cinque o sette anni, capitava che fossero prestati – contrassegno – alla concorrenza. (La United Artists nacque per consentire agli attori il controllo sulle proprie carriere, ma solo i celeberrimi come Charlie Chaplin potevano permetterselo).
Mary Astor non era una star di primissimo piano. Non bastasse, il suo aristocratico e fintissimo appellativo – era nata Lucile Vasconcellos Langhanke, nel 1906 – era stato macchiato nel 1936 da uno scandalo. Viveva separata dal marito, che aveva ottenuto la custodia della figlia. Poi cambiò idea, e chiese la revisione della sentenza dimenticando i propri peccatucci. Uno in particolare, con George S. Kaufman, che oltre a essere il commediografo più famoso di Broadway – per non parlar del cinema, scriveva copioni per i fratelli Marx – era anche sposato. La passione era tanta che la sciagurata annotò nel diario le prestazioni, e non era roba per signorine. Neanche per una moglie fedele, pensò il marito, e minacciò di portare le prove in tribunale.
Il diari bollenti di Mary Astor – intesi come il quadernetto incriminato, sono stati bruciati davanti a un giudice nel 1952. I diari bollenti di Mary Astor, intesi come volume illustrato, sono la più divertente lettura capitata da un bel po’ (il periodo è di magra, speriamo nei prossimi mesi, e l’altra lettura imprescindibile è sempre targata Adelphi: Tutto quello che è un uomo di David Szalay). Il miracolo si deve a Edward Sorel, famoso disegnatore americano – son sue molte copertine del «New Yorker». Ha scritto e illustrato un libro incantevole, che è anche la storia di una fissazione, e insieme un po’ un’autobiografia.
Aveva appena cambiato casa, aggiudicandosi un «railroad flat» nell’Upper East Side di New York (sono gli appartamenti con le stanze che danno tutte su un corridoio, simili allo scompartimento ferroviario). Il linoleum della cucina era marcio, bisognava sostituirlo. Sotto il linoleum, Edward Sorel trovò un mucchio di vecchi giornali. Erano del 1936, l’anno dello scandalo che aveva cacciato dalle prime pagine avvenimenti ben più importanti e drammatici.
Si mise a leggere i giornali, e fu colpo di fulmine. Si innamorò di Mary Astor e della sua storia, procurandosi la biografia e rincorrendo i film nei cinema d’essai. Consolante: dopo decenni abbiamo scoperto di avere un gemello in spirito, non siamo gli unici a leggere i vecchi quotidiani che ci capitano tra le mani (per non parlare dei ritagli fatti negli anni e mai buttati via, ma di questo parleremo solo con Edward Sorel, lui capirà). Si mise a scrivere il libro, e a disegnarlo – la curva del nasino di Mary Astor gli riesce benissimo, e anche l’ala del cappello quando fece il suo ingresso da diva in tribunale. Azzeccando il tono, che in questi casi è più di metà dell’opera: svagato e puntiglioso, informatissimo e pettegolo, affettuoso e ironico.