Al di là delle infinite polemiche che hanno accompagnato la controversa assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura 2016 a Bob Dylan, è innegabile che le considerazioni artistiche, in questo caso, abbiano un peso ben maggiore degli inconcludenti dibattiti sulla legittimità o meno del conferimento di un riconoscimento letterario a un musicista (problematica peraltro già presentatasi nel 1997 con il premio all’attore e commediografo Dario Fo).
Dopotutto, l’influenza di Dylan come paroliere e compositore è tale da trascendere il semplice ambito musicale per estendersi anche alla poesia – cosa che, nonostante la facilità con cui oggigiorno si paragonano canzone e componimento poetico, si è verificata ben poche volte nella storia della musica leggera; e forse proprio per questo, le recenti pubblicazioni del vecchio Bob hanno lasciato piuttosto perplessi molti ascoltatori.
Infatti, oltre a proseguire come sempre la sua infinita tournée mondiale (ormai non a caso definita come «Neverending Tour»), tra il 2015 e il 2017 Dylan ha trovato il tempo di incidere anche due album inediti – Shadows in the Night e Fallen Angels – i quali non sono, tuttavia, costituiti da pezzi di sua composizione, bensì da vecchi standard tratti dal cosiddetto GAS (il «Great American Songbook») della prima metà del 900.
I fan di vecchia data del Maestro hanno quindi dedotto che questo suo omaggio alla grande musica statunitense dell’epoca d’oro rappresentasse un tributo intimo e dovuto a un’altra pagina della storia popolare che lo aveva fortemente influenzato, come già era accaduto negli anni 90 con i suoi omaggi alla tradizione folk delle radici; ma tale sensazione ha lasciato posto a un discreto sconcerto nel momento in cui, alla fine dello scorso gennaio, Dylan ha annunciato che anche il suo nuovo album sarebbe stato interamente composto da cover di classici americani e «oldies», e che anzi, stavolta, come suggerito dall’eloquente titolo di Triplicate, si sarebbe addirittura trattato di un triplo album – novità assoluta per l’artista, che finora non si era mai spinto oltre il disco doppio.
Una scelta che potrebbe essere vista come un azzardo, poiché a quest’ora perfino i seguaci più accaniti del grande Bob avrebbero ogni ragione di dichiararsi stanchi di assistere all’ennesimo revival del passato (anche se bisogna dire che l’ultimo album di inediti a firma Dylan, l’ottimo Tempest, risale ad appena cinque anni fa).
Tuttavia, non si può negare che il disco sia, ancora una volta, piacevolissimo, poiché da ogni singola traccia traspaiono chiaramente non solo l’innegabile abilità e maestria di Dylan, ma anche l’amore e il trasporto di cui è in grado di infondere questa nuova incursione nella storia della musica. Nel caso specifico, poi, il lavoro è davvero capillare: i tre CD sono infatti divisi per temi, e ciò fa sì che, nonostante l’apparente monotonia dovuta alle convenzioni stilistiche di alcuni degli standard e alla relativa, inevitabile staticità del materiale in questione, la tracklist di Triplicate non vada mai incontro a momenti di noia.
Anche perché, come sottolineato da Tom Piazza, autore del saggio contenuto nel booklet dell’album, pure stavolta Bob alterna classici di grande fama (su tutti, These Foolish Things, As Time Goes By e You Go to My Head), a gemme pressoché misconosciute (Why Was I Born, There’s a Flaw in My Flue), che perfino i maggiori «aficionados» del genere avranno qualche difficoltà a riconoscere; il che sottolinea una volta di più come quella intrapresa da Dylan già due anni fa sia una vera e propria operazione di recupero di matrice fortemente filologica.
E non solo: questo nuovo capitolo non fa che confermare come, in questa fase della sua carriera, l’artista sia più che mai interessato alle finezze e intricatezze della tecnica interpretativa – proprio come accade nel suo Neverending Tour, nell’ambito del quale Bob reinventa e riarrangia in maniera inedita i capisaldi del proprio repertorio. Anche in Triplicate lo troviamo interamente dedito all’elaborazione di differenti e raffinate soluzioni compositive volte a infondere nuova vita a brani ormai datati, sia dal punto di vista degli arrangiamenti che da quello della vocalità.
Così, sebbene sia chiaro che un nome del calibro di Bob Dylan potrà sempre e comunque permettersi di avventurarsi in terreni commercialmente assai insidiosi – mentre, con ogni probabilità, a nessun altro performer sarebbe mai concesso di incidere ben tre dischi di fila incentrati sul medesimo argomento – bisogna tuttavia ammettere che, come d’abitudine, la grande professionalità del musicista è sufficiente a fugare ogni iniziale scetticismo; e se è impossibile non augurarsi che il prossimo exploit dell’inossidabile menestrello ci regali finalmente delle nuove composizioni originali, c’è da scommettere che Triplicate sia comunque (e giustamente) destinato a rimanere un album di riferimento per qualsiasi vero appassionato di «old-time music» o traditional pop.