Noemi Lapzeson, donna mondo

La grande ballerina ha vinto il Gran Premio svizzero di danza
/ 04.12.2017
di Giorgia Del Don

Noemi Lapzeson, laureata del prestigioso Gran Premio svizzero di danza 2017 (ricevuto prima di lei, nel 2015, da un altro importante coreografo ginevrino: Gilles Jobin), è stata a giustissimo titolo definita da uno dei membri della giuria (il giornalista e critico della danza Alexandre Demidoff) come una «donna mondo». Una metafora che colpisce nel segno condensando in poche ma azzeccate parole l’essenza di una ballerina e coreografa inclassificabile, sfuggente come il vento che sferza sul lago Lemano e appassionata come un passo di tango della sua Argentina natale.

Nata nel 1940 a Buenos Aires, Noemi Lapzeson si è lasciata sin da giovanissima trasportare dal soffio della danza (per riprendere un termine di Anna Halprin) in senso proprio come figurato. Sostenuta da una famiglia straordinaria: padre avvocato «che detestava la sua professione» ma con una passione senza freni per il cinema che l’ha spinto a organizzare delle colorite riunioni in casa con il fior fiore della comunità artistica dell’epoca, e una mamma «eccezionale», fra le prime professoresse universitarie dell’Argentina, che l’ha sempre incitata a fare ciò che voleva ma «facendolo bene!», Noemi Lapzeson ha vissuto un’infanzia ricca di germogli che ha disseminato lungo tutto il suo cammino.

Il primo fiore è sbocciato a New York dove si è trasferita a soli sedici anni per formarsi alla prestigiosa Julliard School. New York, «la capitale della danza» come la definisce lei stessa, una città che vibra e con la quale Noemi non tarderà ad entrare in comunione è anche la città d’adozione di un’altra grande artista: Marta Graham. Una figura maestosa, quasi sovrumana, «terrorizzante» e allo stesso tempo ammaliante che l’intriga in modo quasi epidermico. Dopo due anni di corsi diretti con pugno di ferro dalla papessa della danza contemporanea e di ruoli «secondari», Noemi Lapzeson riesce a ritagliarsi uno spazio nei ranghi alti della prestigiosa Martha Graham Dance Company.

Opposta a ogni interazione, cinica, prigioniera dei suoi stessi demoni e sbalzi d’umore, la grandissima e tragica Martha Graham non è ormai più che l’ombra di se stessa. Sebbene volesse fare della giovane ballerina argentina uno dei suoi discepoli (arrivando a proporle di riprendere la sua compagnia!) è ancora una volta la libertà, il soffio vitale della danza a salvarla. È quindi a Londra, dove un mecenate della grande coreografa le propone di creare una compagnia «alla Graham», che Noemi fugge. Ricca degli insegnamenti di quella che si rivelerà essere sia un mentore (per quanto riguarda la tecnica) sia un contro-esempio (a livello pedagogico), Noemi Lapzeson comincia a scrivere la sua propria storia in quanto coreografa e persona.

La tecnica di Martha Graham, intimamente legata al concetto di respirazione (vuoto e pieno) e al suo indissociabile rapporto con il movimento, rimarrà il punto centrale della pedagogia di Lepzeson. Lo yoga e l’importanza che quest’antica disciplina accorda al soffio vitale (Prana, Apana, Udana, Samana e Vyana) arricchiscono e trasformano in modo personale la sua maniera di vivere e trasmettere la danza. «Fare qualcos’altro rispetto a Graham… perché fare meglio è impossibile» questo è quello che Noemi Lapzeson si fissa come obiettivo principale. Un obiettivo che non si trasformerà mai in teoria, in principio dogmatico, ma che saprà comunque diffondere con un’esigenza mai dispotica, benevola e costantemente in movimento, arricchita da molteplici ispirazioni: letterarie, musicali e personali. Imparare come lei stessa dice «per meglio immergersi in se stessi».

A differenza di Martha Graham alla quale è stata legata per ben dodici anni e la cui tecnica è iscritta nelle sue ossa, Noemi Lapzeson riserva all’ascolto e all’osservazione un posto di primo piano, «per non fare e non farsi male». A gioire di quest’approccio che si trasforma ben presto in vocabolario comune sono stati (e continuano ad esserlo) i ballerini della sua Vertical Danse, la prima compagnia indipendente di danza a ricevere il sostegno della Città di Ginevra che l’ha adottata da quasi quarant’anni. Alla città sul Lemano Noemi Lapzeson regala molte prime volte: i primi nudi su scena, i primi innesti fra danza e musica contemporanea, poesia e filosofia.

Quando, quasi per caso la nostra «donna mondo» sbarca a Ginevra (in quanto insegnante al Ballet du Grand Théâtre, all’istituto Jaques-Dalcroze e alla scuola di Beatriz Consuelo, fondatrice del Ballet Junior) ai suoi occhi si presenta un immenso campo vergine tutto da seminare. All’inizio degli anni Ottanta infatti, in quella che si trasformerà con il tempo in una delle capitali svizzere della danza, la nozione di «danza contemporanea» è ancora sconosciuta sebbene gli addetti ai lavori comincino a riflettere sulla sua natura attraverso delle timide strutture indipendenti di ricerca (finanziate da privati e mecenati). È in questo clima e sulla scena della mitica Salle Patiño che Noemi Lapzeson fa germogliare i suoi fiori più belli. Durante buona parte della sua vita è nella capitale romanda che Noemi lavora e struttura la sua personale pedagogia, il suo linguaggio coreografico condiviso da numerose generazioni di ballerini (fra i quali Philippe Saire, Yann Marussich, Marcela San Pedro o Romina Pedroli) cullati dalla sua compagnia Vertical Danse fondata nel 1989. 

Noemi Lapzeson ha trasformato il proprio studio in patria, un territorio senza frontiere dove si parla una lingua misteriosa che nasce dalle ossa, dalle orecchie, dagli occhi e dal cuore. Un territorio dove confrontarsi con i propri limiti e attingere alle proprie infinite risorse, dove cadere e rialzarsi (per riprendere il concetto di «gravità paradossale» del poeta argentino Roberto che ha ispirato il nome della compagnia), godere del vuoto e del pieno, dove sperimentare insieme, in tutta libertà, il soffio vitale della danza.