«Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo “Sono diventato una signorina”». In tempi in cui quasi più nessuna donna apprezza la distinzione tra «signora» e «signorina» (anche perché nella peggiore delle ipotesi «signorina» sapeva un po’ di chiuso), Lauro de Marinis, in arte Achille Lauro, è riuscito a dare nuovo lustro – e forse addirittura un nuovo significato – a questa parola. E lo ha fatto dando una definizione di femminilità (su Instagram, e dove altrimenti?) in cui è riuscito a riconoscersi un esercito di donne, e forse anche qualche uomo: «voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore». Alzi la mano, chi non apprezza questa descrizione di genere, ne alzi due chi non apprezza il fatto che queste parole siano state pronunciate proprio da uno che fino a ieri sembrava perfettamente a proprio agio nel duro e testosteronico mondo del rap, della trap e dei maschi in genere.
Sembrava, appunto, perché il recente Festival di Sanremo, che per l’Italia ha più o meno lo stesso valore del Super Bowl negli USA, ha avuto il pregio indiscusso di ospitare in gara una performance che con la musica spesso prefabbricata e stereotipata della kermesse ligure aveva poco a che fare. Il discorso di Achille Lauro infatti, spalmato su quattro serate attraverso performance della durata di poco più di quattro minuti l’una, è riuscito non solo ad aprire uno squarcio su una serie di tabù fino a ieri tali per la società (e poco importa che prima di lui ci siano stati Bowie o Renato Zero, l’intolleranza e il sospetto nei confronti di chi non è omologato e chiaramente assegnato a un genere sono sempre vivi e vegeti), ma anche a ripescare dalla storia personaggi che, a modo loro, la storia l’hanno fatta, e con un certo anticonformismo.
La parola d’ordine era «libertà» e quindi, sul fil rouge della canzone in gara, Me ne frego, Lauro è partito con il personaggio di San Francesco, libero dopo la spoliazione di ogni bene materiale, vestiti compresi (qui sostituiti da una tutina color carne glitterata, cult dopo nemmeno tre secondi). Sono seguite le interpretazioni di libertà di Ziggy Stardust e della marchesa Casati Stampa, spregiudicata mecenate del secolo scorso, per finire con l’attesissima apoteosi dell’ultima sera, in cui Lauro ha vestito (grazie alla sapienza di Alessandro Michele) i panni della regina Elisabetta I. A quel punto però, Lauro era già entrato a sua volta nella storia e nei cuori. Lo raccontano le centinaia di migliaia di entusiasti sui social, la critica e gli intellettuali, per una volta unanimi nell’affermare che qualcosa nella nostra percezione del genere e dei rapporti di forza sta finalmente cambiando. Grazie Achille.