Dove e quando
Un mostra permanente dell’artista è visitabile su appuntamento presso la Chiesa San Sisinio a Mendrisio.

Gabriela Spector, L’abbraccio, 2019, bronzo, parco della Residenza Senago Cappella, Pazzallo


Nell’intreccio di arte e vita

Un incontro con le opere della scultrice e pittrice Gabriela Spector
/ 09.03.2020
di Alessia Brughera

Un uomo e una donna si abbracciano con trasporto, i loro corpi così vicini quasi a formarne uno solo, i loro sguardi così fiduciosi quasi a cancellare ogni dolore pregresso. Il ricongiungimento tra le due figure è stato faticoso, lo si capisce da quella base inclinata su cui poggiano ancora non del tutto saldamente i loro piedi. È nel reciproco sostegno che, adesso, entrambi trovano l’equilibrio.

Alta tre metri e realizzata in bronzo è questa una delle sculture più recenti di Gabriela Spector, da poco collocata nel giardino della Residenza Senago Cappella a Pazzallo. L’opera è particolarmente significativa del lavoro dell’artista argentina di origine e ticinese d’adozione, rappresentando da un lato una delle tematiche da lei predilette, le relazioni e i sentimenti umani, dall’altro il suo linguaggio espressivo che fa di materiali nobili quali il bronzo, appunto, il mezzo attraverso cui rendere tangibile le proprie visioni.

Nata a Tucumán e là formatasi alla Facultad de Bellas Artes, la Spector approda poco più che ventenne in Europa. Dapprima è Milano ad accoglierla, dove lavora presso la storica Fonderia Artistica Battaglia, poi è la volta di Carrara, patria della pregiata pietra bianca amata da molti grandi maestri, dove all’Accademia di Belle Arti l’artista affina la propria tecnica.

Sebbene fin da subito individui nell’arte plastica la pratica più indicata a manifestare la sua creatività, il disegno e la pittura sono presenti da sempre nel percorso della Spector. Lo schizzo diviene tappa imprescindibile all’interno del processo scultoreo per portare a maturazione un concetto e per rendere con spontaneità la crescita di un’impressione. Il lavoro pittorico diviene invece un ambito ulteriore in cui l’artista può traslare le sue idee con un approccio completamente diverso da quello utilizzato in scultura, un modus operandi più immediato capace di trasmettere l’energia del suo pensiero in continua evoluzione.

Quella della Spector è un’arte pienamente figurativa che scaturisce da una profonda immersione nella realtà, dall’inevitabile confrontarsi con il mondo circostante. Le sue opere sono racconti di emozioni e di legami, storie di viaggi, poesie di piccoli gesti. Ed è interessante come nella prima mostra dell’artista, a Milano, anno 1994, nei pezzi esposti comparissero già molti dei soggetti che sarebbero poi stati sviluppati nel corso del suo cammino artistico, così come quella propensione alla narrazione e quella resa dell’opera come manufatto pienamente leggibile che mai sarebbero venute meno.

In quei primi anni Novanta la Spector guarda all’arte italiana del dopoguerra. I lavori di Fausto Melotti, ad esempio, sublimi modelli di sintesi espressiva sospesi tra gioco e filosofia, le insegnano quanto la scultura possa creare spazi al contempo relativi e infiniti. Altre figure, poi, sono per lei fonte d’ispirazione. Come quella di Floriano Bodini, di cui ammira la capacità di partire da sensazioni e sentimenti per dare forma alla materia.

E proprio l’intima conoscenza della materia è il fondamento su cui la Spector costruisce il suo universo artistico. Vengono scelti il gesso e la terracotta, ma ancor più il bronzo e il marmo, materiali che appartengono a una tradizione alta e che l’artista rispetta a tal punto da cercare di tutelarne sempre le intrinseche qualità. È una sorta di inno al passato, il suo, e un modo per ancorare la propria attività al mestiere inteso come lavoro manuale appreso con tenacia e migliorato quotidianamente con l’esercizio. Nel dialogo tra l’idea che prende vita e il gesto che la concretizza la Spector esplora così il rapporto tra materia e spazio, riscoprendo ogni volta le potenzialità della forma e del volume.

Le sue sculture, fragili e solide allo stesso tempo, ci parlano del rapporto tra uomo e donna, fatto di attese e di lontananze, di vincoli e di separazioni; ci parlano del legame tra madre e figlio e della maternità, piena espressione della forza generatrice (nella serie intitolata Voglia di pancia realizzata nel 2002, l’artista crea delle opere ricorrendo alla tecnica del calco dal vero, immortalando nel gesso i grembi di alcune gestanti); ci parlano, ancora, della famiglia, perno da cui il cammino di ognuno ha inizio e costante punto di ritorno di reminiscenze e suggestioni.

I lavori pittorici della Spector, poi, ci parlano spesso della ricerca delle proprie radici, del peregrinare fisico e mentale tra luoghi atavici e nuove destinazioni. Ne sono un esempio le sue carte geografiche umanizzate, dove corpi dipinti a olio si fondono con i dettagli di antiche mappe usate come tele: l’intrico di linee, tratti, forme, ombre e colori dà origine a territori vissuti, a paesaggi dell’anima da rivisitare o scoprire.

Ecco che la Spector matura così una concezione dell’arte come elemento che fluisce nelle trame dell’esistenza divenendo uno strumento per decodificare esperienze, memorie e aspirazioni, per riferire la propria vicenda personale ineluttabilmente mescolata agli accadimenti della storia umana.