Per quanto, a prima vista, ciò possa apparire come un controsenso, è stato proprio in tempi frenetici e tecnologizzati quali i nostri che un personaggio della cultura popolare nato a fine ’800 (e, in fondo, rappresentante di un ambito old-fashioned come quello della società inglese tardo-vittoriana) è inaspettatamente riuscito ad apparire al pubblico come ben più attuale e intrigante di molte effimere e superficiali icone moderne.
È così, dopotutto, che il ventunesimo secolo ha potuto sperimentare un vero e proprio revival della figura di Sherlock Holmes, nata nel 1886 dalla penna del medico e scrittore scozzese Arthur Conan Doyle: nel giro di pochi anni, ciò ha portato ad assistere a svariate rivisitazioni cinematografiche e televisive e al ritorno dei cosiddetti apocrifi – ovvero, quei romanzi e racconti che vedono Holmes e il fido Dr. Watson affrontare avventure inedite, rigorosamente basate sul riverito «canone» stabilito dall’autore.
Lo stesso Adrian, uomo dalla vita avventurosa, è stato autore di alcuni racconti che continuano le vicende di HolmesEppure, non molti sono a conoscenza del sodalizio che da sempre lega il grande investigatore alla Svizzera, terra apparentemente lontana dalle nebbiose atmosfere londinesi delle sue immortali imprese. Sir Arthur aveva infatti un debole per il nostro Paese: pioniere dell’allora neonato sci alpino, vi si recò spesso in villeggiatura, finendo addirittura per scegliere le cascate del villaggio di Meiringen, nel canton Berna, come scenario della «morte apparente» di Holmes, narrata nel racconto Il problema finale (1893). Soprattutto, però, la Svizzera avrebbe rappresentato un autentico luogo dell’anima per il figlio Adrian, ultimo discendente dei Conan Doyle, il quale, deciso a coltivare la memoria del padre, avrebbe istituito proprio in territorio elvetico (per la precisione nel borgo di Lucens, a poca distanza da Losanna), la fondazione a lui dedicata.
Classe 1910, Adrian Malcolm era il secondo dei tre figli nati dall’ultimo matrimonio dello scrittore, e lo avrebbe accompagnato in molte delle sue imprese – a partire dalla crociata in favore dello spiritismo, che questi difese nell’arco di lunghe tournée come conferenziere in tutto il mondo. Tuttavia, avrebbe saputo diventare molto più del semplice erede del creatore di Sherlock Holmes: dal padre aveva ereditato uno spirito curioso ed anticonformista – per dirla con le sue stesse parole, profondamente «internazionalista» – e, in quanto tale, scevro da quello snobismo di stampo britannico che all’epoca contraddistingueva il suo ceto sociale; del resto, lo stesso Holmes poteva ben definirsi un eccentrico, alieno alla più parte delle convenzioni borghesi del proprio tempo.
Questa mentalità insolitamente aperta permise ad Adrian di interessarsi molto presto ad altre culture e stili di vita, cedendo spesso al richiamo dell’avventura: come quando, insieme alla moglie Anna, trascorse sei mesi attraversando l’Oceano Indiano a bordo di uno schooner (esperienza da cui, nel 1952, nacque il libro Heaven Has Claws).Fu proprio il desiderio di conferire uno spirito il più possibile internazionale al lascito artistico (ma anche morale e spirituale) del padre a far sì che, nel 1965, Adrian creasse la Sir Arthur Conan Doyle Foundation esattamente in Svizzera, da sempre il più cosmopolita dei paesi europei, situato nel cuore di quello che gli anglosassoni ancora chiamavano «il Continente»; si trasferì così con la moglie nell’antico castello medievale di Lucens, il quale, secondo uno stile reminiscente dei romanzi storici dell’illustre genitore, venne popolato dalla collezione di armature e cimeli holmesiani del nuovo inquilino.
Non solo: Adrian non seppe resistere al richiamo della creatura paterna, arrivando a firmare un libro di racconti apocrifi (Le imprese di Sherlock Holmes, del 1954) insieme al famoso giallista John Dickson Carr, già autore di una biografia di Sir Arthur.
Ma soprattutto, con devozione toccante eppure acuta e meditata, figlia della profonda intelligenza di cui era provvisto, Adrian avrebbe sempre difeso a spada tratta la reputazione del padre dagli attacchi maliziosi di critici e saggisti – i quali, in fondo, non avevano mai davvero compreso come Conan Doyle avesse fatto di Sherlock Holmes la parte migliore di sé: l’uomo che, nel proprio cuore, avrebbe voluto incarnare. Non è infatti un caso che lo stesso Sir Arthur si fosse calato nei panni dell’investigatore, applicando nella vita reale i metodi deduttivi (a tutti gli effetti precursori della moderna scienza forense) di cui aveva dotato Holmes, e salvando così dalla forca più di un innocente – su tutti, George Edalji, vittima di un caso talmente ambiguo da aver poi condotto alla creazione della Corte d’Appello inglese.
E sebbene, per sua stessa ammissione, Adrian non si considerasse del tutto all’altezza delle nobili azioni paterne, la lezione impartitagli dal genitore aveva attecchito, portandolo a consacrare la propria vita a Lucens non solo alla storia, ma anche agli ideali di Sherlock Holmes – forse l’unico personaggio di carta ad aver davvero varcato i confini della pagina scritta per farsi presenza viva e vibrante nell’immaginario collettivo: una figura mossa da un’etica e umanità profonde e tangibili, tuttora incredibilmente moderne.
Così, quando un infarto si portò via Adrian ad appena 59 anni, le sue ceneri vennero interrate proprio nei bastioni dell’amato castello svizzero, dove avrebbe sempre riposato all’ombra dell’eroe da lui servito con tanta abnegazione. E nonostante il panorama della cittadina fosse già stato alterato dalla presenza dell’effimero (e difettoso) reattore nucleare, testimone dell’impietoso scorrere del tempo, ancor oggi si ha ugualmente l’impressione che lo spirito di Sherlock Holmes viva e cammini perfino qui, nel cuore del canton Vaud – dove il Musée Sherlock Holmes, tuttora attivo a Lucens, è meta dei molti nostalgici desiderosi di catturare l’anima del loro idolo. E magari di ritrovarsi, come scrisse il celebre sherlockiano Vincent Starrett, «qui, dove solo le cose a cui il cuore crede sono vere, ed è sempre il 1895».