Bibliografia
Silvia Sereni, Un mondo migliore. Ritratti, Milano, Bompiani, 2019, p. 216.


Mentori prestigiosi

Silvia Sereni, figlia del grande poeta Vittorio, ha avuto il privilegio di crescere tra i maggiori esponenti della letteratura italiana del Novecento
/ 09.03.2020
di Manuel Rossello

Mario Soldati la portava ai giardinetti, Fruttero & Lucentini le correggevano i temi di scuola, Attilio Bertolucci le insegnava i nomi dei fiori e Franco Fortini l’aiutava a costruire castelli di sabbia. Chi non vorrebbe avere dei precettori come quelli che ebbe Silvia Sereni? Il fatto poi che l’ultimo dei prestigiosi mentori citati si sia col tempo rivelato un ospite insopportabilmente irritante, non diminuisce l’eccezionalità di una giovinezza che l’autrice, da poco scomparsa, tratteggia con garbo e leggerezza.

Il volume, imperdibile per tutti i cultori d’italianistica, è una ricca galleria di scrittori, poeti e letterati del Novecento visti, per così dire, en déshabillé. L’autrice è una delle tre figlie del poeta Vittorio Sereni, il quale fu a lungo direttore letterario della Mondadori. Proprio grazie al ruolo rivestito da suo padre, Silvia Sereni ha avuto il privilegio di poter frequentare fin dalla più tenera età molti tra i maggiori nomi della letteratura italiana d’allora.

È una carrellata prestigiosa, i cui nomi più significativi sono quelli di Attilio Bertolucci, Anna Banti, Fernando Bandini, Giovanni Raboni, Dante Isella, Fruttero & Lucentini, Lalla Romano, Piero Chiara, Giuseppe Pontiggia, Franco Fortini e Mario Soldati.

Il volume fa parte di quella particolare categoria di libri che danno l’illusione di colmare il desiderio di conoscere più intimamente un autore. E sono molte le pagine in cui si coglie la capacità di porsi empaticamente rispetto a figure così eminenti e non di rado spigolose. Come non provare simpatia, allora, per le «distrazioni» di Mario Soldati, che era solito accludere nella nota spese per la RAI l’acquisto di graziosi maglioni di cachemire? O per la modestia e insieme per la profonda bontà di Giuseppe Pontiggia, sempre cortesissimo con qualunque scocciatore si presentasse alla sua porta? O ancora per l’accenno ad alcune poetesse che talvolta apparivano come d’incanto a Bocca di Magra sperando di agganciare il direttore editoriale della Mondadori per farsi pubblicare i loro sospiri poetici?

Ma non tutti i personaggi hanno superato il filtro degli anni. Molte sono le figure che il tempo ha sbiadito o cancellato. Tra i «sommersi», un personaggio che meriterebbe d’essere riscoperto è sicuramente la poetessa Daria Menicanti.

Il lettore si aspetterebbe che il cuore del libro fossero le pagine dedicate dalla figlia a suo padre. Ma per una sorta di pudore filiale, Silvia Sereni non ha tracciato un compiuto ritratto di Vittorio. Tuttavia la figura paterna affiora quasi a ogni pagina in controluce ai personaggi descritti.

Sono due invece le figure che rappresentano, per ragioni opposte e di cui diremo più sotto, i punti focali del libro: Giovanni Raboni e Franco Fortini. Mentre due sono i luoghi in cui si concentrano i ricordi: la casa di Milano e Bocca di Magra, l’allora bucolica località di pescatori eletta a luogo di villeggiatura da una folta schiera di letterati, con le famiglie appresso. Ecco allora, d’estate, gli Einaudi, i Vittorini, i Bertolucci, Montale con «la Mosca», Bianciardi, la Duras, Garboli, (che, noblesse oblige, alloggiava nell’unico albergo). Franco Fortini, invece, si isola sull’altra sponda del fiume con la moglie svizzero-tedesca. Un piccolo mondo antico di letterati, in parte imparentati fra loro.

Ogni visita di Bertolucci, che a Bocca di Magra vive come un novello Walden e compone i versi della Capanna indiana, è una festa per le tre sorelle: l’affascinante affabulatore le intrattiene a tavola con i suoi racconti. Loro lo ascoltano rapite, con le forchette sospese a mezz’aria.

Il caso volle che a Milano Giovanni Raboni e la famiglia Sereni abitassero nello stesso palazzo di via Paravia. Raboni, uno degli ultimi intellettuali per cui l’epiteto non suona vuoto o parodistico, era una presenza assidua in casa loro. Purtroppo l’autrice del libro era troppo giovane per poter seguire le loro lunghe e quasi quotidiane conversazioni. Si può solo immaginare quale scintillio d’intelligenza dovesse scaturire dall’incontro dei due poeti. La domenica (rito a cui si univa Maurizio Cucchi) era dedicata all’Inter, loro comune passione, con immancabile presenza sugli spalti di San Siro.

Franco Fortini, invece, onorava Sereni della sua presenza sia d’estate che d’inverno. Fortini, purtroppo per Sereni, era affetto da coazione a pontificare (un fenomeno che andrebbe classificato tra le patologie, vista la quantità di coloro che ne mostrano i sintomi). Questo suo tono fastidiosamente oracolare, l’autore della Verifica dei poteri lo accompagnava al dito indice simbolicamente sempre alzato ad ammonire, additando a sé e a gli altri l’itinerario da percorrere. Sempre lucido, voleva instancabilmente distinguere gli amici dai nemici ed era costantemente proteso a combattere, ovunque ne scoprisse le tracce, «l’anti-ideologismo avanguardistico».

Alla lunga, questo perpetuo sentenziare dell’ospite (verrebbe da dire: l’ospite ingrato) finì per scocciare Sereni, che gli ingiunse, pur con mille cautele, di interrompere i loro incontri e di frequentarsi solo per lettera.