McDonagh, meccanismi eccellenti

Trionfo ai Golden Globes e Oscar annunciato
/ 22.01.2018
di Fabio Fumagalli

**** Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri), di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Peter Dinklage (Stati Uniti 2017)

Averne, di opere prime come questa. Lo si diceva già nel 2009, a proposito di Martin McDonagh e del suo primo lungometraggio, In Bruges: un giovane drammaturgo, destinato a diventare uno degli eredi di Harold Pinter, nato a Londra, ma di origini irlandesi. Con un cortometraggio, Shooter, aveva addirittura vinto un Oscar nel 2005; nel quale, dietro la maestria dei dialoghi tipica dell’autore teatrale, già s’intuiva il nerbo visuale del cineasta.

Questo Tre manifesti sembra nato nel senso contrario. Non tanto per la sua storia: quella di Mildred, esausta ma indomita, dopo mesi in attesa che qualcosa si sappia della figlia, stuprata, e quindi uccisa selvaggiamente da uno sconosciuto. Con i pochi risparmi, Mildred affiggerà tre enormi cartelloni pubblicitari lungo una strada del tranquillo Missouri, allo scopo di denunciare l’indolenza della polizia. Una situazione tragica, a suo modo già vista, ma, come in tutto il cinema che conta, a fare la differenza è il modo di rappresentarla.

Pur mantenendo una progressione che mai si diparte dalla logica, il film è a ogni istante meravigliosamente imprevedibile. Frances McDormand (sarà impossibile non assegnarle l’Oscar) è la madre in cerca di giustizia, immensa nella propria cocciuta risoluzione. Riservata nella sua sofferenza; ma nemmeno lei, in questa faccenda, indiscutibilmente buona o innocente. Così come lo sceriffo Woody Harrelson, di certo non infame; e il suo assistente Sam Rockwell, poliziotto becero e violento. Entrambi memorabili, sembrano collocati su una scacchiera stravagante, come a farci dubitare di buoni e cattivi. A somiglianza di tutti i suoi personaggi, il tono del film (e quindi il suo significato più intimo) è allora sempre conseguente ma, in un’evoluzione deliziosamente imprevedibile, si fa comico e tragico, paradossale e realista, lucido e sarcastico.

Certo, dietro a ogni immagine risalta la denuncia di una violenza rozza, di un persistente maschilismo che minaccia la nostra epoca: ma le intenzioni sono sfumate da toni cangianti che rimandano a diversi generi, dal noir al western, passando per la commedia. Così, nel tono vendicativo iniziale se ne inseriscono via via di grotteschi, talvolta tragici, a tratti spassosi. Una meccanica enorme e sapiente, quella assemblata da Martin McDonagh, che avrebbe anche potuto travolgerlo. Succede, al contrario, con le certezze dei personaggi e con le nostre.