Sembra di passeggiare dentro un magnifico presepe scolpito nella pietra per l’eternità, una «Betlemme italiana» a grandezza d’uomo con strade e stradine, vie e viuzze, vicoli e scalinate, case e chiese, botteghe e osterie, un presepe vivente che s’inerpica su per i pendii dei tre rioni dell’antica cittadina di Matera (Basilicata): da una parte, rivolto verso la città di Bari, Sasso Barisano; al centro, sullo sperone roccioso più alto a quota 400 m s/m, la Civita con i palazzi nobiliari e la cattedrale; a sud, adagiato in una cavea teatrale, Sasso Caveoso.
Nella Città dei Sassi è tutto un saliscendi che mette a dura prova le gambe, un dedalo di vicoli dentro cui ci si può smarrire, ma affascinante tanto nelle ore diurne quanto in quelle serali e notturne. Qui, aria, acqua, terra e fuoco in stretta simbiosi con l’antropizzazione millenaria hanno creato un paesaggio straordinario denominato appunto I Sassi, promosso dall’UE a «Capitale della cultura europea 2019», una cultura contadina, quella, per intenderci, da «scarpe grosse e cervello fino» che con saggezza ha saputo utilizzare al meglio le poche risorse naturali locali. Vediamolo da vicino questo paesaggio.
Terra. Dal pieno al vuoto: la nascita
Dalla stazione ferroviaria di Matera, in meno di mezz’ora, raggiungiamo con un bus (linea 7) il «Belvedere» del Parco della Murgia Timone, dove furono girate le scene della crocefissione da Pier Paolo Pasolini (Il Vangelo secondo Matteo, 1964) e da Mel Gibson (La passione di Cristo, 2004). Subito la Città dei Sassi si para davanti ai nostri occhi con tutto il suo splendore. Un rapido sguardo da questo punto panoramico di fronte a Matera mostra una fascia di roccia alta un centinaio di metri che digrada verso il torrente Gravina creando una vallata simile ai canyon. In cima ad essa Matera che alla forte luce del mattino sembra un insieme quasi indistinto di pietra.
Localmente questo tipo di sasso è chiamato tufo (calcarenite di Gravina), è abbastanza malleabile da lavorare e, al tempo stesso, sufficientemente solido per ricavarci dei blocchi da costruzione. Quella che vediamo dall’Altopiano della Murgia è però solo la città in superficie, quella edificata a partire dal Medioevo. Il materiale edile proviene quasi esclusivamente dalla Matera sotterranea, dalle cavità artificiali che costituiscono la peculiarità del sito e che la vista non scorge di primo acchito, poi però si osservano delle aperture nella roccia, specialmente in Sasso Caveoso.
In architettura solitamente si prende uno spazio vuoto per riempirlo con una costruzione, si passa cioè dal vuoto iniziale a un (quasi) pieno finale. A Matera, contrariamente alla regola edilizia, si va dal pieno (la roccia) al vuoto (la grotta), ossia si prende il tufo come madre natura l’ha offerto, si scava e si ottiene un’abitazione sotterranea. È così che sono nati i Sassi di Matera che all’inizio dell’Ottocento contavano fino a 2000 strutture aggregate sotterranee. Proprio la tipicità e la diffusa presenza di questi manufatti sotterranei hanno costituito il primo valido criterio che nel 1993 ha promosso Matera quale luogo originale da proteggere e valorizzare con l’iscrizione al patrimonio mondiale dell’Unesco.
Il termine specifico per le costruzioni nella montagna è «ipogeo» – parola composta dal prefisso greco «ύπό = ipo» (sotto) e «γη = geo» (terra) – traducibile con l’aggettivo o sostantivo «sotterraneo»: l’ipogeo è quindi una costruzione sotto terra, in questo caso nella roccia, scavata per tutti gli usi legati alle attività umane. Con il sasso levato alla montagna si chiudeva primariamente la grotta e successivamente la si ampliava verso l’esterno, cioè si costruiva a cielo aperto; per la conformazione a terrazzi del territorio, le dimore ipogee erano una sopra le altre, come una sorta di struttura multipiano, di qui le lunghe scalinate per raggiungere le dimore. In questo modo, con il passare dei secoli, si è creato un paesaggio unico di grande effetto scenico come lo vediamo adesso. Lo spazio aereo risparmiato dalla città sotterranea, quello che si estende a ovest verso il piano, serviva per la pastorizia e le coltivazioni nei campi; è lì che oggi troviamo i nuovi quartieri della città.
Da diecimila anni le tipiche dimore sotterranee di Matera testimoniano il passaggio da una vita nomade ad una residenziale (neolitico) con edifici d’ogni forma e grandezza che si sono evoluti nel corso dei secoli: semplici abitazioni denominate «case grotta», osterie e ristoranti, laboratori artigianali e magazzini, cantine e neviere per la conservazione dei cibi, spazi religiosi detti «chiese rupestri» e monasteri, pozzi e cisterne dell’acqua. Ed è proprio la continuità insediativa della Città dei Sassi – dal paleolitico fino allo sfollamento forzato degli anni Cinquanta del secolo scorso – a costituire un ulteriore criterio che ha favorito l’iscrizione di Matera nel catalogo dei beni culturali protetti dall’Unesco.
Acqua. Povertà e ingegneria idraulica
Da sempre la raccolta dell’acqua piovana è un compito primario per l’esistenza di un villaggio che non ha a portata di mano un fiume. A Matera il torrente Gravina è lontano dai Sassi, perciò bisognava provvedere in altro modo. Gli abitanti non erano degli esperti in idraulica, eppure, come canta un proverbio, «la necessità aguzza l’ingegno» e la povertà materana ha partorito una ricchissima rete di captazione e distribuzione dell’acqua. Per le strade, le scalinate, sui tetti delle dimore c’erano tanti canaletti che convogliavano l’acqua in una cisterna a forma di goccia scavata nel cortile comune a più famiglie o dentro la casa-grotta. In caso di abbondanza, l’acqua della cisterna passava per gravità alle case e ai pozzi sottostanti e così via in modo che l’approvvigionamento idrico era assicurato a tutti. Oggi queste sorprendenti opere idrauliche – cisterne ipogee, gallerie di drenaggio, pozzi di prelievo, canali di adduzione, grandi palombari – sono una meta obbligatoria.
Un esempio su tutti in fondo al centro storico di Matera, sotto Piazza Vittorio Veneto, è il Palombaro Lungo. Si tratta della cisterna ipogea più grande d’Europa che poteva contenere cinque milioni di litri. Superata la soglia, al visitatore sembra di entrare in una cattedrale interrata con alte colonne scolpite nel tufo. Così come si presenta oggi, il Palombaro è il risultato di diversi accorpamenti di precedenti cisterne più piccole, scavando sia in altezza sia in profondità lungo i secoli e fino a cent’anni fa era la fonte idrica che serviva i nuovi residenti attorno a Piazza V. Veneto; qui si attingeva l’acqua con i secchi in alluminio direttamente dal pozzo (oggi scomparso) in piazza come mostrano i fori visibili dall’interno. Nota: solo visite guidate a numero chiuso; meglio prenotare sul posto con anticipo.
Fuoco. Il sole e il cielo di pietra stellato
Di frequente a Matera, le case-grotta hanno il pavimento inclinato: quando in inverno il sole è basso, i raggi penetravano fino al fondo della dimora e riscaldavano l’ambiente in modo naturale. In estate, per contro, il sole è alto e il suo calore non entrava nella cavità che quindi rimaneva fresca e umida.
Ma non esiste solamente la luce-fuoco del sole a Matera. C’è anche la lunga tradizione delle luminarie che nelle grandi feste religiose danno colore e calore ai rioni cittadini come la festa della Madonna della Bruna, patrona di Matera e della cattedrale assieme a sant’Eustachio. Tutti gli anni il 2 di luglio, con grande coinvolgimento degli abitanti, la processione con la protettrice inizia all’alba nei quartieri di Matera per finire verso sera nel duomo in cima al colle tra lumini, fiaccole, luminarie e fuochi d’artificio sfavillanti. Insomma, uno spettacolo dentro uno scenario di pietra di per sé già meraviglioso che diventa ancor più affascinante al calar della sera, quando case, scalinate e strade s’illuminano di luci fioche che viste da lontano, dal «Belvedere» del Parco della Murgia, sembrano stelle.
Aria. Espansione verso il cielo dei nuovi quartieri
Con il passare del tempo Matera cresceva di popolazione tanto che le case-grotta si espandevano verso l’interno della roccia; in alcuni casi le cisterne sotterranee e anche le chiese rupestri furono trasformate in abitazioni, i tetti diventarono al contempo cortile o stradina per le dimore superiori. La densità urbana fece anche espandere la popolazione verso il piano, ma a preoccupare era il degrado delle condizioni di vita dei Sassi che portò al collasso un ecosistema.
L’affollamento eccessivo, la promiscuità tra uomini e bestie, la mancanza di acqua corrente, di elettricità, di fognature, la scarsa esposizione alla luce e all’aria, l’alta mortalità infantile (463 su mille!) furono i punti dolenti che determinarono l’intervento delle autorità di Roma all’inizio degli anni Cinquanta, dopo la denuncia di alcuni intellettuali come Carlo Levi nel libro Cristo si è fermato a Eboli pubblicato nel 1945 e che con un ossimoro parlava di Matera come una «tragica bellezza».
In quel periodo Matera era diventata «la vergogna nazionale» e internazionale tanto che nel 1952 il Governo centrale emanò una legge ad hoc per lo sfollamento forzato dei Sassi. Nel giro di un decennio più di 15mila persone (metà della popolazione di allora) dovettero lasciare la vecchia Matera degli ipogei per trasferirsi nelle nuove e salubri abitazioni popolari promosse dall’ente pubblico all’aria aperta, sul piano, vicino alle zone agricole, e più tardi anche industriali, dove c’era il lavoro. Sulla base di un piano regolatore, sorsero così i nuovi quartieri cittadini come il borgo rurale La Martella (1953), il borgo urbano Serra Venerdì (1956), i rioni Lanera e Spine Bianche (1957), borgo Venusio, Picciano e altri. I Sassi divennero così una città fantasma, vuota. Vennero murate le entrate delle spelonche e il centro storico si trasformò in un deserto vietato ai viventi.
Da «vergogna nazionale» agli onori internazionali
A partire da quel triste momento e per circa trent’anni, il centro di Matera restò disabitato conservando però inalterate le tipiche costruzioni ipogee di una civiltà rurale quasi scomparsa. Ma una straordinaria unicità poteva concludersi nel nulla? O c’era una qualche via di riscatto per i Sassi? Ebbene, sì. L’identità di Matera poteva essere riconsiderata, la sua straordinaria e plurisecolare storia poteva riprendere vita. Bastarono poche idee calibrate sul suo passato per portare i Sassi della Basilicata in un futuro prospero. Infatti, nel 1986 ebbe inizio il recupero residenziale grazie a un’altra legge speciale ad opera dello Stato che, con il comune di Matera, è il proprietario della maggior parte dei Sassi sfollati.
Poco alla volta, passo dopo passo e nel rispetto delle peculiarità del sito, i Sassi sono stati ristrutturati e la vecchia Matera ha ripreso vigore. La capacità della cittadina lucana di reinventarsi un avvenire florido è basata sul ripristino polivalente (abitativo, artigianale, turistico) degli ipogei nei rioni storici e sull’apertura di questo patrimonio culturale al grande pubblico italiano, europeo, internazionale. Dalle stalle alle stelle, dalla vergogna nazionale all’orgoglio internazionale si potrebbe sintetizzare, fino al riconoscimento planetario dell’Unesco come «un insieme architettonico e paesaggistico testimone di momenti significativi della storia dell’umanità».
Certo, scarpinando nel centro storico si vedono qua e là cartelli con la scritta «Vendesi», molti sono gli ipogei e anche le strutture fuori grotta con la porta sbarrata, molto ancora c’è da fare. Comunque, diversi sono i cantieri pubblici e privati aperti. Nella Città dei Sassi oggi è tornata la vita, Matera è diventata l’esempio del riscatto del Sud Italia e lo dimostra il grande afflusso di «cittadini temporanei» che con tanto di «Passaporto per Matera 2019» vogliono toccare con mano i risultati di una rinascita riuscita e in corso d’opera.