Mai sposare una donna con la patente

A colloquio con la giovane regista italiana Maria Iovine che ha partecipato alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia con il cortometraggio In Her Shoes
/ 11.11.2019
di Laura Marzi

Abbiamo incontrato Maria Iovine, giovane montatrice e regista, vincitrice del Premio Zavattini con il cortometraggio In Her Shoes, che tra i numerosissimi riconoscimenti ha vinto anche la menzione speciale a «Visioni Italiane 2019» e ha fatto parte della selezione ufficiale alla 76esima mostra del Cinema di Venezia. Il corto ribalta la storia utilizzando proprio le immagini storiche: con In Her Shoes incontriamo il personaggio di Domenico e vediamo come sarebbe stata la sua vita in Italia se il mondo avesse girato al contrario e «il sesso debole» fossero stati gli uomini e non le donne.

Ci racconti come nasce l’idea di questo corto?
Il corto nasce col premio Zavattini, che non è solo molto prestigioso, è anche un premio di sviluppo: vincere, tra le altre cose, significa potere utilizzare gratuitamente il materiale di archivio, che è costosissimo! Così ho trovato dei capolavori di Cecilia Mangini che hanno fatto da stella polare per il mio corto: guardandoli ho iniziato a pensare a tutte le discussioni che faccio per lottare contro lo stereotipo sulle femministe. In quelle immagini c’è tutta la bellezza che da tante donne insieme può scaturire, dei gruppi di autocoscienza, della creazione dei primi consultori.

In Her Shoes è un progetto artistico, ma è anche un progetto politico.
Sì, penso di lottare da sempre per la parità di genere, di essere sempre stata femminista. Quando facevo la prima elementare con la mia famiglia ci siamo trasferiti in una casa più grande sempre in provincia di Caserta e ricordo che mio padre disse a me e a mia sorella che avremmo dovuto cominciare ad aiutare mamma a pulire perché eravamo femminucce. Mi alzai in piedi sulla sedia e gli urlai: «io mamma la aiuto perché le voglio bene non perché sono una femmina». Il corto però è dedicato proprio a mio padre che ci ha permesso di vivere come volevamo a differenza delle mie amiche che non potevano uscire di casa, con padri gelosi dei loro fidanzati.

Di recente al Macro Asilo di Roma c’è stato un incontro in cui hai mostrato alcuni dei tantissimi materiali di archivio che hai visionato per la realizzazione di In Her Shoes. Ti va di raccontarci quello che ti ha colpito di più?
È stata dura durante la lavorazione a In Her Shoes vedere in tutto quel materiale televisivo e cinematografico le donne ridotte davvero a degli oggetti. Sembra una esagerazione «femminista», ma quelle immagini di un passato anche recente parlavano chiaramente. Per esempio, posso citare un cinegiornale dell’Istituto Luce del 1961 che ridicolizza le donne alla guida e mette in guardia gli uomini su quanto possa essere sconveniente scegliere una donna che sa guidare, facendo intendere che non sarebbe stata una buona madre di famiglia.

Che effetto ti fa constatare l’interesse e gli apprezzamenti che In Her Shoes sta ricevendo? Insomma, sei ottimista rispetto a questo presente delle battaglie per la parità di genere?
Sì, profondamente ottimista. Quando ero ragazzina non mi ricordo l’invasione nelle strade che adesso si verifica ogni anno il 25 novembre per la giornata contro la violenza e l’8 marzo, però non possiamo abbassare la guardia, purtroppo, perché la nostra società tende naturalmente al maschilismo...

Per quanto riguarda In Her Shoes sono molto contenta che tante persone abbiano guardato con attenzione e piacere questi venti minuti della storia di Domenico, mentre mi dispiace per coloro che si sono sentiti minacciati dal corto, perché hanno paura delle femministe cattive che vogliono mangiare gli uomini!

A quale progetto stai lavorando ora?
Sto realizzando un documentario su Veronica Yoko Plebani, un’atleta paraolimpica di 23 anni che vestirà la maglia italiana a Tokyo 2020 nella squadra del triathlon. Veronica si è ammalata a 15 anni e il suo corpo riporta infinite cicatrici, ma non si è fatta fermare: è una donna che ce l’ha fatta in tutti i sensi. Parlare oggi di femminismo significa per me parlare di donne che hanno fatto la differenza e gli esempi sono moltissimi.