Dove e quando
Magnum e l’Italia, Camera, Torino. Fino al al 21 maggio.
La première fois; Magnum First; Steve McCurry. Leggere, Museo di Santa Giulia, Brescia. Fino al 3 settembre.
Magnum Life, Museo del Violino, Cremona. Fino all’11 giugno.


Magnum, tra arte e documentario

Una triplice mostra a Torino, Brescia e Cremona festeggia i 70 anni dell’agenzia Magnum Photos
/ 20.03.2017
di Ada Cattaneo

Esattamente settant’anni fa, a New York, veniva fondata l’agenzia fotografica Magnum, quasi a testimoniare la sopravvivenza del mondo agli orrori del secondo conflitto mondiale. Proprio come avvenne per altre realtà, come Gamma o Alliance, Magnum era stata costituita sotto forma di cooperativa di fotogiornalisti. Ma, rispetto a quanto accadeva altrove, qui gli autori sceglievano in modo autonomo su cosa concentrarsi e, non dovendo cedere i diritti di riproduzione, mantenevano la proprietà delle loro opere. Veniva così sancito il valore artistico dei reportage, non più da considerare solo documentazione richiesta dalla stampa, ma come un racconto con valenza autonoma.

Il nome Magnum porta con sé ancora oggi tutto il fascino delle grandi storie e dei grandi nomi che le hanno sapute raccontare. Basti ricordare che fra i cinque fondatori c’erano anche due figure come Henri-Cartier Bresson e Robert Capa e che una parte significativa delle fotografie iconiche del secondo Novecento furono scattate proprio dai membri dell’agenzia. Il fatto, poi, che essa sia tuttora attiva, mantenendo inalterato il connubio fra fotografia artistica e documentaristica, ha lo stesso sapore di una tradizione d’antan che si sa rinnovare di stagione in stagione.

A non più di due ore di viaggio dalla Svizzera Italiana, tre musei celebrano i settant’anni di questa storia. Si comincia con Camera, il centro per la fotografia di Torino, che ospita la mostra Magnum e l’Italia con circa 200 scatti dal dopoguerra ad oggi per rappresentare lo svolgersi lungo i decenni della cronaca di un Paese, attraverso i momenti salienti della sua storia e le prerogative nazionali interpretate dai fotografi dell’agenzia. Si parte da un importante nucleo di reportage sulla situazione al termine del conflitto mondiale, fra cui il ritorno dei turisti a Roma, raffigurato da David Seymour nel 1947, fino al ritratto di Berlusconi prima della sua ascesa politica, di Ferdinando Scianna. Dal contrasto fra la bellezza dei luoghi della cultura e il cattivo gusto dei visitatori, mostrato senza indulgere da Martin Parr, si arriva alla folla riunita per la morte di Wojtyla così come Paolo Pellegrin l’ha saputa raffigurare.

A Brescia i fotografi Magnum sono protagonisti di due esposizioni al Museo di Santa Giulia. La première fois, combinando stampe e proiezioni, racconta quel particolare momento nella vita di venti autori in cui, affrancandosi dall’insegnamento dei loro maestri e dagli esempi fino ad allora seguiti, hanno trovato la loro «voce fotografica», il loro stile peculiare che li ha poi accompagnati nel resto della carriera. Da segnalare poi la singolare vicenda dell’altra mostra, intitolata Magnum First, le cui casse furono ritrovate per caso nel 2006 in una cantina di Innsbruck.

Le 80 immagini qui contenute erano state presentate in cinque città austriache fra il 1955 e il 1956, per essere poi del tutto dimenticate per cinquant’anni. Dopo il restauro, queste immagini realizzate da otto autori capitali per la storia dell’agenzia, vengono presentate oggi sui supporti originali: tra gli altri, si ricordano gli emblematici gli scatti in Asia dello svizzero Werner Bischof, l’intimità familiare di Gandhi prima del suo assassinio, documentata da Cartier-Bresson, e le ingannevoli immagini di un presunto antico Egitto visto da Ernst Haas sul set de La regina delle piramidi di Howard Hawks.

Nello stesso museo è anche possibile visitare la nuova personale di Steve McCurry, con settanta scatti dedicati al tema della lettura.

Da ultimo, a Cremona ha aperto Magnum Life, sull’intenso rapporto che vide l’agenzia fotografica collaborare con il settimanale americano «Life». Fra i nove reportage presentati, spicca la figura di Robert Capa, presente con tre dei suoi più celebri servizi di guerra, dal conflitto civile spagnolo alla Normandia e all’Indocina.

A colloquio con Richard Kalvar, già presidente di Magnum 

Come è entrato a fare parte del-l’agenzia Magnum?
Quando sono diventato fotografo – o una «specie» di fotografo – mi capitava spesso di andare a presentare le mie immagini. Era piuttosto frequente per i giovani autori. Così entrai in contatto con persone come André Kertész e alcuni autori alla Magnum. Qualcuno di loro fu di grande aiuto, come Elliott Erwitt. Le foto gli piacquero. Mi trovò un lavoro per una rivista. Così avevo un paio di amici, o piuttosto di mentori, all’interno di Magnum. Nel 1970 mi trasferii in Francia e qui fondai con un collega una piccola agenzia fotografica. Marc Riboud, in Magnum dagli anni Cinquanta, cominciò allora ad interessarsi al nostro lavoro. Presentammo il nostro portfolio all’incontro annuale dei membri dell’agenzia e io fui accettato, era il 1975.

Come funziona l’ammissione?
Puoi proporre il tuo portfolio. Tutti i membri lo esaminano e valutano se ammetterti. È utile che qualcuno all’interno dell’agenzia conosca già il tuo lavoro. Quando sei stato accettato, sei inizialmente un associato e in un secondo tempo puoi diventare un membro effettivo. Quando una persona è stata ammessa, cerchiamo di farla subito sentire partecipe. Ma allo stesso tempo è per noi molto importante che ciascuno cresca in quanto individuo, con un modo personale di guardare alle cose.

Lei è anche stato presidente di Magnum.
Sì. Come presidente tentavo di coordinare le cose, di risolvere i problemi. Probabilmente in quel ruolo ho fatto almeno un paio di buone cose e un paio di cose non altrettanto buone. Come vicepresidente, invece, gestivo la sede di Parigi.

Cosa significa che un’agenzia sia gestita dai fotografi?
È una cosa completamente nostra. Dobbiamo gestirla. Dobbiamo occuparci di quel che succede, dei problemi. Questo è molto faticoso, ma allo stesso tempo è utile per sviluppare fiducia e lealtà fra di noi. Il lato negativo è che non siamo degli ottimi amministratori. C’è del personale che lavora per noi, ma in definitiva siamo noi i responsabili: abbiamo un patrimonio che dobbiamo conservare e non possiamo fallire. Perciò siamo sempre coinvolti in tutti gli aspetti.

Il fatto di essere parte di una simile organizzazione influenza il vostro lavoro fotografico?
Sì, certo. All’interno dell’agenzia, ci sono degli ottimi fotografi. Anche se forse non tutti. Mi misuro con ognuno di loro. Da alcuni imparo. Da altri imparo in negativo, cioè me ne distanzio. Ma anche questo è interessante.

C’è qualcosa a cui sta lavorando in questo periodo?
Sto sempre lavorando al mio progetto originario: scattare una buona fotografia. Sono molto orientato verso il singolo scatto. Una fotografia sola che sia in sé una storia intera, sia essa vera oppure no. Fotografo la vita e cerco di trovare le piccole storie che stanno dietro ad essa e che non sempre possono essere espresse a parole. Non voglio solo dare testimonianza di ciò che accade. Mi piace giocare, creare narrazioni. Il mio progetto, sin dagli inizi, è stato raccoglierne il più possibile. È per me una forma di coerenza. In definitiva sono interessato a come l’essere umano si comporta, anche quando è cattivo.