Dove e quando
Caravage à Rome. Amis et ennemis. A cura di Francesca Cappelletti e Pierre Curie. Musée Jacquemart-André, Parigi. Fino al 28 gennaio. Tutti i giorni 10.00-18.00. Catalogo Culturespaces, Fonds Mercator, euro 32. www.musee-jacquemart-andre.com

Anonimo, Ritratto di Michelangelo Merisi da Caravaggio, verso il 1600 (Accademia Nazionale di San Luca, Rome © Courtesy of Accademia Nazionale di San Luca, Roma)


Maddalena a confronto

Caravaggio al Musée Jacquemart-André di Parigi
/ 07.01.2019
di Gianluigi Bellei

Ognuno di noi ha i propri luoghi del cuore: ambienti della memoria che custodiscono i ricordi, o gli odori, maggiormente significativi che danno calore nei momenti più bui. Una viuzza acciottolata percorsa da bambino, un giardino rotondo dove sedersi sull’erba con gli amici per parlare di anarchia, una cantina con il pavimento in terra battuta piena di botti di Lambrusco, una piega del corpo dell’amata, un museo silenzioso dove sostare in contemplazione e sognare, possono risultare come tante «madeleine» di Proust.

Fra i musei del cuore personalmente annovero il Jacquemart-André di Parigi. Una villa ottocentesca abitata da due coniugi, amanti dell’arte, che è rimasta tale e quale ancor oggi col suo giardino d’inverno, le camere da letto, la biblioteca, il boudoir e il fumoir. Un piccolo gioiello con opere splendide, perfettamente godibili. Prima o dopo aver bevuto un thè nell’affrescato salone. Periodicamente si tengono delle mostre temporanee che, purtroppo, negli anni sono diventate sempre più affollate. In questi mesi ospita alcuni dipinti di Caravaggio a confronto con quelli di alcuni suoi contemporanei del periodo romano.

L’afflusso dei visitatori è imponente e, nonostante le prevendite per fasce orarie, difficilmente si riesce a vedere qualcosa. Le sale sono piccole, i dipinti grandi, le persone tante. Un mix indigesto per chiunque. Un buon motivo per non andare, un incubo per l’ignaro visitatore. Perché, quindi, recarsi fino a Parigi per una piccola mostra dopo magari aver visto quella irripetibile realizzata da Rossella Vodret e Francesco Buranelli per i 400 anni dalla morte dell’artista alle Scuderie del Quirinale a Roma nel 2010 (vedi «Azione» del 19 aprile 2010)? A Roma erano esposte 40 opere delle 65 autografe; a Parigi solamente 10, dichiarate tutte originali. Almeno ufficialmente. Nelle didascalie in mostra e nel catalogo non troverete infatti la dicitura attribuito a… o copia di… Perché allora andare a Parigi? Per vedere affiancate due versioni della Maddalena in estasi. L’ultima, detta Maddalena Gregori, sicuramente di Caravaggio secondo, appunto, Mina Gregori.

Ma andiamo per ordine. Il 28 maggio 1606 Caravaggio uccide Ranuccio Tomassoni nel rione di Campo Marzio, vicino al Pantheon, a Roma. Il pittore fugge e dopo tre giorni è al sicuro nei feudi della famiglia Colonna. Fra i privilegi dei potenti del periodo vi era quello di garantire l’immunità ai delinquenti sotto la loro protezione. Il 23 settembre, scrive Giulio Mancini nel suo Considerazioni sulla pittura del 1617-21, dipinge una Maddalena. Una lettera del 29 luglio 1610, qualche giorno dopo la morte  di Caravaggio, Donato Gentile scrive al cardinale Scipione Borghese che l’artista prima di lasciare Roma ha dipinto tre quadri. Due San Giovanni e appunto la Maddalena in questione, andata poi persa. Il quadro è di per sé rivoluzionario. La figura è dipinta a tre quarti lungo l’asse diagonale della tela senza attributi religiosi quali la croce, il teschio, il vaso pieno di unguento.

Nel 1582 il cardinale Gabriele Paleotti nel suo Discorso sopra le immagini sacre e profane raccomanda di rappresentare i santi sempre con i loro attributi. E infatti nella ventina di copie del dipinto realizzate nei secoli seguenti nessun artista ha mai avuto il coraggio di omettere il teschio o la croce. Il quadro Colonna (l’originale) è stato copiato direttamente due volte da Louis Finson (uno si trova a Marsiglia). Al museo di Bordeaux si trova un’altra copia dapprima attribuita a Renier (?) da Moir, mentre quello di Barcellona è stato eseguito dal cognato di Rembrandt, Wybrand de Geest. In tutti troviamo il teschio, la croce, il vaso e nell’ultimo pure un cartiglio con su scritto «imitando Michaelum Angelum». La versione accreditata come originale da alcuni critici è quella famosa appartenuta alla Collezione Klain provenente dall’eredità Carafa-Colonna e poi alla nipote, coniugata appunto Klain. L’unica in effetti senza alcun attributo.

Poi la svolta. Nel 2014 Mina Gregori scopre una nuova Maddalena che, secondo lei, è l’originale. Ora il dipinto esce per la prima volta in Europa (è stato esposto solo nel 2016 a Tokyo) dal suo caveau svizzero per approdare al Jacquemart-André. Mina Gregori è sicura: è un’opera autografa. «È magnifica». Quello che è certo è che la Maddalena Gregori ha fra le mani una sorta di rosario e in basso a destra si intravvede una specie di teschio. Le due opere in mostra – la Maddalena Klain e quella Gregori – sono molto differenti fra loro sia nei colori del panneggio e dei capelli, sia nella morbidezza delle mani.

La Maddalena Klain è più dettagliata e precisa, mentre quella Gregori indefinita e scura. Certo, direte voi, un bravo copista può essere maggiormente efficace mentre il dipinto Gregori ha certamente bisogno di un buon restauro. Allora perché tanta sicurezza? Viene subito alla mente il caso del papiro di Artemidoro che dopo anni si è rivelato ultimamente un clamoroso falso ottocentesco con buona pace dell’esimio e stimato esperto Salvatore Settis il quale lo ha sempre ritenuto autentico.

Per quel che riguarda Caravaggio l’unico fattore sicuro documentato dalle fonti è che pittori importanti hanno eseguito copie delle sue opere. Rossella Vodret cita Bartolomeo Manfredi o Angelo Caroselli. Giovanni Baglione nelle sue Vite del 1733 scrive a proposito di Manfredi: «si diede ad imitare la maniera di Michelangelo da Caravaggio, e arrivò a tal segno, che molte opere sue furono tenute di mano di Michelangelo».

Aspettiamo, in ogni caso, a fine mostra il ventilato convegno di esperti per farci un’idea. Magari più precisa. Anche perché i proprietari sicuramente fremono, dato che l’opera è sul mercato. E se è di Caravaggio o meno fa la differenza. Di prezzo, ovviamente.

La mostra è divisa in otto sezioni e presenta alcuni accostamenti interessanti come per esempio La decapitazione di Oloferne del 1598 di Caravaggio e Davide e Golia del 1609-1610 di Orazio Borgianni; il San Giovanni Battista (in questo caso quello originale della Pinacoteca Capitolina di Roma e non la copia della Galleria Doria Pamphilj) del 1602 di Caravaggio accanto al San Giovanni Battista che tiene un montone, attribuito prima a Caravaggio e poi a Bartolomeo Manfredi, ubicato al Louvre e del quale ne esistono almeno altre cinque versioni.