Ma quanto pesano le parole?

A colloquio con la scrittrice Rachel Kadish, autrice del convincente Il peso dell’inchiostro, edito da Neri Pozza
/ 05.11.2018
di Blanche Greco

Un’antica casa inglese custode di molti misteri; un’anziana studiosa di storia ebraica, Helen Watt, alla fine della propria carriera; un carteggio della metà del 1600, rimasto nascosto per secoli, e uno scrivano che si firma con la lettera aleph dell’alfabeto ebraico; sono questi gli elementi al centro dell’affascinante intrigo del libro di Rachel Kadish, Il peso dell’inchiostro, vincitore del National Jewish Book Award, appena pubblicato da Neri Pozza. Una trama avvincente nella quale s’intrecciano due romanzi, entrambi ambientati in Inghilterra, ma uno dei quali ci trasporta nella Londra della metà del XVII secolo.

«Noi “nuotiamo” nella Storia, ma non ce ne accorgiamo sino a quando qualcosa non s’impone alla nostra attenzione e allora scopriamo la storia di una casa, quella di una comunità, o della nostra stessa famiglia. Una dimensione che mi ha sempre affascinata, forse perché i miei nonni, nati intorno al 1900, erano dei sopravvissuti all’Olocausto, e nella loro lunga fuga attraverso l’Europa, avevano accumulato una grande quantità di storie e di ricordi di un’epoca ormai sparita, che saltavano fuori a sprazzi nelle conversazioni di famiglia», ci ha raccontato la scrittrice Rachel Kadish che abbiamo incontrato recentemente, in occasione della presentazione del suo libro a Milano. «Per me erano come preziosi francobolli del passato che aprivano squarci nella mia quotidianità e davano un significato al mondo che mi circondava. E, per il mio romanzo, ho voluto creare una struttura similare».

Così dalle pergamene del 1600 ritrovate nel ripostiglio segreto di una vetusta casa vicino a Londra, emerge in filigrana la storia di Aleph, scrivano di un famoso rabbino portoghese accecato in gioventù dall’Inquisizione. Ma la mano che sigla i documenti, i sermoni e le missive indirizzate alla prospera comunità ebraica portoghese fuggita ad Amsterdam e a quella riparata in Inghilterra, nasconde un segreto quasi ignominioso, infatti è la mano di una donna, Ester Velasquez.

Così il racconto comincia a rimbalzare dai giorni nostri, alla formicolante Londra del 1650 e viceversa, dalla Biblioteca dell’Università dove l’anziana professoressa Helen Watt, (personaggio degno di Agatha Christie), studia il carteggio di Aleph e lotta contro gli arroganti colleghi maschi decisi a “farla fuori” dalla ricerca per toglierle l’onore della scoperta; agli affanni della giovane Ester, orfana portoghese dal passato agiato e tragico, alla quale il rabbino cieco, suo antico precettore, affida, temporaneamente, la cura dei suoi scritti.

Infatti come gli ricordano da più parti, Ester è inadatta a tale compito poiché come dice il rabbino Eliezer del Talmud, «la parola della Torah dovrebbe essere bruciata piuttosto che insegnata alle donne». Perciò Ester-Aleph mentre amplia la sua cultura e la sua conoscenza dell’inglese, si arrovella per escogitare un modo per mantenere il suo ruolo di scriba che le dà accesso alle risme di carta, all’inchiostro, alle candele e ai libri, tutte cose costose, che sono la sua chiave del sapere e della libertà, le uniche cose che diano un senso alla sua esistenza.

«Molti anni fa mi aveva colpito una riflessione di Virginia Woolf che in uno dei suoi saggi nel libro, Una stanza tutta per sé, dopo essersi chiesta quale sarebbe stato il destino di una ipotetica sorella di William Shakespeare, intelligente e brillante come lui, concludeva sconsolata che “purtroppo sarebbe morta senza avere scritto neppure una parola”». Affermazione difficile da controbattere, chiosa Rachel Kadish, raccontandoci dove ha tratto l’ispirazione del suo romanzo «A quell’epoca l’esistenza e l’educazione di una donna erano costellate di divieti e di restrizioni, e la vita artistica e intellettuale erano considerate inadatte, anzi perniciose all’indole femminile, soprattutto per una donna ebrea. Ci voleva un genio, per riuscire a trionfare su così tante regole. Eppure io ero convinta che dovesse esserci stata una donna, o forse più d’una che, mascherando con intelligenza la propria identità, fosse riuscita a diventare uno scrittore, magari un filosofo. E da questa idea è nata la mia eroina Ester Velasquez».

Menzogna e verità storica si mescolano nel Peso dell’inchiostro, un romanzo epico con una miriade di personaggi, ma dove quelli femminili appaiono più complessi e palpitanti, spesso divisi tra le ragioni della mente e quelle del cuore, oggi come tre secoli fa. Rachel Kadish per spiegare cosa significasse per una donna vivere nel Seicento, ha studiato per anni la storia del Portogallo, quella della comunità ebraica di Amsterdam e quella di Londra; gli usi e costumi di entrambe; il pensiero filosofico, quello religioso e le questioni più controverse delle élite letterarie del XVII secolo. Senza contare le ricerche sulla conservazione dei libri antichi e sulla composizione degli inchiostri, come l’inchiostro ferrogallico capace nel tempo di corrodere la carta e di scavare le parole sino a rendere il testo illeggibile.

Con il personaggio della studiosa Helen Watt prendono corpo anche le contese che oggi dividono storici e letterati alle prese con ritrovamenti archeologici e antichi documenti, questioni su chi abbia il diritto di studiare la storia di un popolo, e se esista una «proprietà» della storia. Il peso dell’inchiostro è un’avventura, piena di pathos e di suspense che ci ricorda che «noi» siamo la Storia e che questa si può raccontare anche così.