È nato nel 1961 a Ginevra, dove è cresciuto e dove si è poi laureato in economia politica. Poco più che ventenne, se ne va a New York per studiare ancora, stavolta fotogiornalismo. Tornato in patria – a Zurigo e più in generale in quella Svizzera tedesca che non conosceva affatto – i suoi interessi principali (l’economia, la società e la fotografia) lo portano a lavorare per importanti ONG. Viaggia volentieri negli angoli più discosti del pianeta, manifestando una discreta predilezione per l’Africa. Le sue foto sono state pubblicate da numerose testate importanti, e tra queste pure il giornale che state sfogliando. Nel frattempo si stabilisce a Lugano, dove vive ormai da due decenni.
Tagliato il traguardo dei trent’anni d’attività, Didier Ruef veste ancora i panni del figliol prodigo e con la sua ultima, poderosa pubblicazione, Homo Helveticus, ci scarrozza stavolta spazio temporalmente nei mille e più angoli della Svizzera. Ruef è una guida attenta soprattutto a cogliere l’attimo, capace altresì d’un’ironia che talvolta sconfina nel sarcasmo. Il ritratto del nostro Paese che realizza con 170 immagini – tutte rigorosamente in bianco e nero e presentate nel libro senza tener in alcun modo l’ordine cronologico – sottende un fil rouge ben preciso: i sempiterni interrogativi «esiste la svizzeritudine? e se sì, che cos’è? quale alchimia ci permette da secoli di mantenere pacificamente unite tre etnie, quattro lingue, una miriade di dialetti e un bel ventaglio di religioni?»
Pur servendosi di un linguaggio universale quale la fotografia, Didier Ruef non ha naturalmente risposte nette e precise. Osserva però acutamente come la Svizzera sia cambiata nel solco delle tradizioni. La passione per le armi emerge in molte immagini e si tramanda addirittura nei secoli: ecco uno stendardo che ricorda come il Feldschützen si svolga sin dal 1672 al Morgarten e poi via via i gruppi folcloristici che rievocano idealmente le gesta dei mercenari, dei granatieri ginevrini e dei volontari luganesi, sino al ragazzino che imbraccia felice un Fass del nostro esercito. Sulle tracce dell’ipotetico Homo Helveticus, Ruef ha poi naturalmente modo di scovare curiose realtà: la casetta con tanto di giardino ben tenuto che a Zurigo sembra irridere alla ferrovia che le passa accanto e anche al vortice di svincoli stradali che la sovrastano.
E gli altrettanto sempiterni clichés (il Cervino, il coltellino CH, le mucche, la fondue…) che il nostro Paese può per così dire vantare? Ruef non se n’è dimenticato: semplicemente ci invita a considerarli sorridendo.