Bibliografia
Didier Ruef, Homo Helveticus, Till Schaap Edition, Berna, 2018. tillschaapedition.ch


Ma noi svizzeri chi siamo davvero?

Nel recente libro di Didier Ruef, la nostra nazione in una serie di scatti che ne mettono in luce aspetti inattesi e curiosi
/ 05.08.2019
di Giovanni Medolago

È nato nel 1961 a Ginevra, dove è cresciuto e dove si è poi laureato in economia politica. Poco più che ventenne, se ne va a New York per studiare ancora, stavolta fotogiornalismo. Tornato in patria – a Zurigo e più in generale in quella Svizzera tedesca che non conosceva affatto – i suoi interessi principali (l’economia, la società e la fotografia) lo portano a lavorare per importanti ONG. Viaggia volentieri negli angoli più discosti del pianeta, manifestando una discreta predilezione per l’Africa. Le sue foto sono state pubblicate da numerose testate importanti, e tra queste pure il giornale che state sfogliando. Nel frattempo si stabilisce a Lugano, dove vive ormai da due decenni.

Tagliato il traguardo dei trent’anni d’attività, Didier Ruef veste ancora i panni del figliol prodigo e con la sua ultima, poderosa pubblicazione, Homo Helveticus, ci scarrozza stavolta spazio temporalmente nei mille e più angoli della Svizzera. Ruef è una guida attenta soprattutto a cogliere l’attimo, capace altresì d’un’ironia che talvolta sconfina nel sarcasmo. Il ritratto del nostro Paese che realizza con 170 immagini – tutte rigorosamente in bianco e nero e presentate nel libro senza tener in alcun modo l’ordine cronologico – sottende un fil rouge ben preciso: i sempiterni interrogativi «esiste la svizzeritudine? e se sì, che cos’è? quale alchimia ci permette da secoli di mantenere pacificamente unite tre etnie, quattro lingue, una miriade di dialetti e un bel ventaglio di religioni?»

Pur servendosi di un linguaggio universale quale la fotografia, Didier Ruef non ha naturalmente risposte nette e precise. Osserva però acutamente come la Svizzera sia cambiata nel solco delle tradizioni. La passione per le armi emerge in molte immagini e si tramanda addirittura nei secoli: ecco uno stendardo che ricorda come il Feldschützen si svolga sin dal 1672 al Morgarten e poi via via i gruppi folcloristici che rievocano idealmente le gesta dei mercenari, dei granatieri ginevrini e dei volontari luganesi, sino al ragazzino che imbraccia felice un Fass del nostro esercito. Sulle tracce dell’ipotetico Homo Helveticus, Ruef ha poi naturalmente modo di scovare curiose realtà: la casetta con tanto di giardino ben tenuto che a Zurigo sembra irridere alla ferrovia che le passa accanto e anche al vortice di svincoli stradali che la sovrastano.

E gli altrettanto sempiterni clichés (il Cervino, il coltellino CH, le mucche, la fondue…) che il nostro Paese può per così dire vantare? Ruef non se n’è dimenticato: semplicemente ci invita a considerarli sorridendo.