Dove e quando
Mario Botta. Spazio Sacro. Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno. Fino al 12 agosto 2018. Orari: ma-do 10.00-12.00/14.00-17.00, lu chiuso. www.museocasarusca.ch

Mario Botta, Moschea Yinchuan, Repubblica Popolare Cinese, 2016 – in fase di progettazione (Render Marco Mornata – Mario Botta Architetti) 

Mario Botta, Cattedrale di Nostra Signora del Rosario, Namyang, Corea del Sud, 2011 – in fase di realizzazione (Render Marco Mornata Mario Botta Architetti) 


L’infinito nel finito

L’architettura sacra di Mario Botta protagonista alla Pinacoteca comunale Casa Rusca di Locarno
/ 18.06.2018
di Alessia Brughera

Dimora del silenzio, della preghiera e della meditazione, fin dai tempi più antichi l’edificio sacro è uno spazio altamente simbolico in cui ogni dettaglio rimanda alla dimensione spirituale. In esso aleggia quel senso dell’infinito e dell’arcano che un abile architetto sa rendere percepibile attraverso gli strumenti a sua disposizione: la luce, le forme e il rapporto tra gli elementi costruttivi hanno qui, più che in ogni altra tipologia edilizia, un ruolo rilevante, portatori come sono di accezioni mistiche. 

Il luogo di culto è una sorta di membrana tra terra e cielo, tra uomo e divinità, uno spazio denso di significato che resiste al caos del mondo esterno ma che allo stesso tempo si trova ben radicato nella storia e nell’esistenza dell’umanità per esercitare un richiamo, concreto e reale, ai valori più profondi dell’individuo. Chi si appresta a costruire un edificio sacro non può quindi prescindere dalla sua funzione di sede del divino che esorta a una tensione verso il celestiale così come dalla sua natura tangibile, legata indissolubilmente alla contingenza terrena. 

Tra le figure che più si sono misurate con il tema della sacralità c’è Mario Botta, architetto ticinese di fama mondiale la cui carriera è costellata di progetti che hanno saputo restituire la complessa anima della struttura religiosa. Come lui stesso sostiene «L’architettura sacra può sottolineare una condizione di attesa, di trascendenza, dove passato e presente convergono verso memorie ancestrali. Nello spazio dei luoghi di culto la realtà dell’interno modella una nuova immagine, una condizione “finita” per le attività di silenzio, di contemplazione, di trascendenza e di mistero. È con la definizione di uno spazio architettonico finito che è offerto al fruitore di vivere una condizione di infinito».

Come in un gioco di scambi, da un lato l’architettura sacra si alimenta dell’approccio introspettivo e geniale di Botta, in grado di condensare soluzioni costruttive d’impatto con il senso intimo che l’edificio incarna, dall’altro i temi del sacro permettono all’architetto di applicare con maggiore compiutezza le caratteristiche principali della sua ricerca e così di «rintracciare le ragioni d’essere del fatto architettonico». 

Proprio agli spazi di culto ideati e realizzati da Botta è dedicata una mostra presso la Pinacoteca Casa Rusca di Locarno il cui percorso coinvolge, oltre alle sale del museo, il cortile esterno allestito per l’occasione con un grande padiglione in legno. Il lavoro dell’architetto ticinese volto alla progettazione dei luoghi sacri (chiese ma anche sinagoghe e moschee) è documentato attraverso ventidue strutture costruite in tutto il mondo – dalla Svizzera all’Italia, dalla Francia all’Austria, dalla Cina alla Corea del Sud – di cui l’esposizione presenta i modelli originali in legno, i disegni e gli schizzi nonché tante gigantografie che delle architetture bottiane catturano la visione d’insieme di interni ed esterni così come i particolari più rappresentativi.

Osservando il materiale esposto si percepisce come la ricerca del maestro svizzero sia fondata sulla potente espressività di ogni elemento: nei suoi edifici di culto il repertorio formale si fa fortemente evocativo, l’accostamento tra le parti diviene fluido e armonioso, la luce diventa materia che plasma gli spazi e li diversifica tra loro.

Quella di Botta è una vera e propria vocazione alle geometrie elementari e ai volumi puri, propensione, questa, mutuata dapprima dalla lezione del connazionale Le Corbusier, figura da lui molto amata che gli ha insegnato l’importanza del ragionare secondo forme primarie, rievocando il cézanniano «Tutto è sfere, cubi, cilindri», poi da quella dello statunitense Louis Kahn, altro architetto caro a Botta per la sua capacità di dar vita a solenni edifici euclidei in cui si respira un fiero ritorno al primitivo.

Forte in Botta è il legame con lo spazio che accoglie la sua fisionomia del sacro: l’architetto ticinese ha un istintivo senso del luogo che lo conduce a erigere strutture in continuità fisica e concettuale con l’ambiente che le accoglie, a partire dalla scelta dei materiali. Con le sue opere in pietra, mattoni o legno, pregne di pragmatismo e memoria, egli si inserisce con impeto nella plurisecolare tradizione costruttiva, soprattutto in quella della sua terra, dove il Romanico ha solide radici. 

Si pensi ad esempio, come testimonia la mostra locarnese, alla chiesa di San Giovanni Battista a Mogno realizzata dove sorgeva il precedente edificio di culto seicentesco, cancellato negli anni Ottanta da una slavina, usando marmo di Peccia e granito della Vallemaggia, a foggiare una struttura ruvida ed essenziale che è sintesi perfetta di storia e identità. Oppure, restando sempre nel nostro cantone, alla cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro, che con la sua compatta volumetria affiora dalla caotica crosta rocciosa della montagna, quasi come sbucasse dalle viscere della terra per rievocarne l’asprezza. Qui Botta si affida alla forza elementare della pietra, esaltata nella sua condizione più rude e grave.

Tra i tanti progetti documentati nella rassegna ci sono la cattedrale della Resurrezione a Évry, in Francia, con la sua torre a cilindro spezzato ricoperta da mattoni rossi, la cappella Granato nella valle Zillertal, in Austria, costruzione severa ed ermetica rivestita in corten che richiama nella forma la peculiare pietra locale, o ancora la sinagoga Cymbalista e centro dell’eredità ebraica a Tel Aviv. Quest’ultima, con i suoi due corpi di fabbrica identici che emergono da una comune base rettangolare e che si trasformano, innalzandosi, in cilindri, è una mirabile traduzione architettonica della volontà dei committenti di creare uno spazio aperto al dialogo tra ebrei ortodossi ed ebrei liberali.

Nella sua sfida a confrontarsi con l’infinito utilizzando elementi finiti, Botta ha dato vita a edifici di culto semplici, rigorosi e potenti, capaci di farsi custodi di significati profondi ed espressione di quei valori dello spirito che da sempre abitano l’uomo.