Dove e quando
Martin Disler. Buchmann Galerie, Lugano. Fino al 22 giugno 2019. Orari: da ma a ve 13.00-18.00; sa 13.00-17.00. www.buchmanngalerie.com

Martin Disler, Senza titolo, 1979


L’impulso irrequieto della creazione

La Buchmann Galerie di Lugano ospita una mostra di Martin Disler
/ 03.06.2019
di Alessia Brughera

Spirito inquieto ed errante, mai alla ricerca di approdi, Martin Disler, artista svizzero nato nel 1949 in un villaggio del Canton Soletta e morto prematuramente a Ginevra all’età di 47 anni, della sua breve esistenza ha fatto un instancabile viaggio, una sorta di eterno peregrinare senza una precisa destinazione allo scopo di sondare se stesso e i propri tormenti. La dimensione del viandante privo di meta gli apparteneva più di ogni altra cosa: nei tanti luoghi in cui ha vissuto, da ferventi metropoli come New York, Amsterdam, Zurigo o Milano a località isolate come Les Planchettes, Disler ha alternato momenti di assidua socialità a lunghi periodi di isolamento, questi ultimi indispensabili per riuscire a sentire forte il proprio pensiero e dargli forma attraverso l’arte.

Pittore e scultore, ma anche poeta e scrittore particolarmente prolifico, Disler ha intrapreso il cammino artistico da autodidatta confrontandosi fin dagli esordi con diverse tecniche. A sancire a livello internazionale il valore del suo linguaggio istintivo e potente sono stati i primi anni Ottanta, testimoni di un incalzante susseguirsi di presenze espositive dell’artista all’interno di contesti molto prestigiosi, come la Biennale d’arte di Venezia, a cui Disler ha partecipato nel 1980 poco più che trentenne, e documenta a Kassel, dove è stato tra gli autori chiamati a prendere parte alla settima edizione del 1982 diretta da Rudi Fuchs.

Il lascito di Disler è curato e rappresentato dal 2013 dalla Buchmann Galerie, che negli spazi di Lugano, città dove l’artista ha abitato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, ha allestito una mostra a lui dedicata, riunendo una selezione di opere su carta e in terracotta. La rassegna ticinese si svolge in un momento di particolare attenzione verso il maestro svizzero in ambito europeo: si è da pochi giorni conclusa l’esposizione al Bündner Kunstmuseum di Coira di uno dei lavori più noti di Disler, l’imponente Die Umgebung der Liebe, ed è ancora in corso la mostra allo Skulpturenpark Waldfrieden di Wuppertal, fondato da Tony Cragg, di un gruppo di sculture in bronzo appartenenti alla serie Häutung und Tanz, realizzate dall’artista nel 1991-92 nel suo atelier luganese di via Besso e fuse nelle fonderie del Sottoceneri.

Sebbene vicino alle correnti neo-espressioniste (in Germania si era accostato alla pittura urlata del Gruppo dei Neuen Wilden, i Nuovi Selvaggi che a Berlino avevano raggiunto esiti analoghi a quelli della Transavanguardia italiana), Disler è stato un artista che ha saputo sempre mantenere un netto distacco dalle pur tante tendenze che ha attraversato, dando vita a opere dotate di un’autonomia stilistica e di un’impronta personale scaturite dall’attitudine a far confluire i diversi stimoli recepiti all’interno di un universo autarchico, lontano da dettami e convenzioni, in cui l’unico obiettivo era il superamento delle proprie tensioni interiori.

Con la sua arte impetuosa e primitiva, talvolta capace di assumere un carattere più equilibrato e contenuto, Disler ha esplorato con maniacale tenacia tematiche ricorrenti: la paura, la sessualità e, soprattutto, la morte, come se nella mai sopita urgenza di conoscerla a fondo, di sviscerarla completamente, fosse sottesa la speranza di allontanarne lo spettro.

L’impulsiva gestualità dell’artista ha generato opere cariche di tensione da cui emergono sì l’ansia e l’angoscia di un uomo disorientato dalle proprie sensazioni irrequiete, ma anche un’energia vitale e un fermento creativo che sono riusciti a valicare i limiti imposti da quella stessa inquietudine.

Significativi di tale approccio sono i lavori su carta raccolti nella mostra di Lugano, tra cui spicca l’opera Senza titolo, alta quattro metri, realizzata da Disler nel 1979. Qui la sagoma stilizzata e deformata di un corpo umano emerge da un intrico di segni che pare tenerla prigioniera; la figura appena accennata nelle forme è di un colore rosso acceso che interrompe e sovrasta le tonalità fredde dei tratti sullo sfondo, a evocare, e invocare, una sensualità irruente in grado di estirpare i tabù dell’uomo per avvicinarlo ai suoi desideri più profondi.

Il richiamo alla dimensione primordiale dell’individuo si fa ancora più evidente nella produzione plastica di Disler: il gruppo di piccole sculture a parete in terracotta, dalla serie Steinzeug und gebrannte Erde, presente nella rassegna, testimonia la volontà dell’artista di afferrare le radici dell’umanità per ritrovare un nuovo senso di appartenenza. Teschi, pugnali, volti plasmati come maschere sono un inno nostalgico, disperato e insieme fiducioso a un mondo archetipico, a una condizione primigenia in cui vita, morte e amore si fondono per accogliere l’uomo nella purezza del loro amplesso e per fargli assaporare il senso di libertà che si trova al di là del tormento.