Franco Beltrametti, Il viaggio continua. Opere scelte (a cura di Anna Ruchat), L'Orma editore, Roma 2018.


L’eredità del nomade

L’orma editore dedica un’ampia antologia al poeta Franco Beltrametti
/ 20.08.2018
di Daniele Bernardi

A dispetto dell’amata «leggerezza», c’è anche qualcosa di inquieto nell’opera di Franco Beltrametti (Locarno, 1937 – Riva San Vitale, 1995). Oggi, una figura di poeta e artista come la sua è rara a trovarsi: posseduto da una frenesia che lo ha condotto, sempre, a spostarsi senza requie, Beltrametti sembra non aver mai separato l’arte dalla vita, il proprio fare da un’avventura umana che, presto, lo portò a equiparare spirito e creatività. Soprattutto c’è, in Beltrametti, un modo di vivere la cultura senza limitarsi a pensarla; e tale vivere, all’opposto di quanto avviene oggi, è volutamente clandestino, non utile al potere.

È a partire da tali premesse che l’opera di questo beat elvetico appare come il riflesso di una più grande esperienza – quella esistenziale. La natura residuale di versi, scritti e collages che sembrano appunti, schizzi, fragili rifugi accroccati con poche ramaglie ai bordi di un baratro, è quella del truciolo sfuggito al tornio dell’artefice: il grande progetto, il «progetto infinito» – per usare un’espressione di Antonio Porta – per Beltrametti non appartiene al libro con la elle maiuscola, ma al vasto territorio dell’agire umano, alla sua precarietà.

In questo senso, quasi andasse a comporre un immenso mandala, Beltrametti era, almeno in parte, incurante nei confronti della dispersione e della deperibilità del proprio lavoro – un lavoro che, appunto, tendeva a dislocarsi (importanti i molti spostamenti tra Europa, Asia e Stati Uniti), a diramarsi in plurime direzioni: pubblicazioni in riviste underground, edizioni a tiratura limitata, performances, esposizioni, lettere ad amici e a compagni di viaggio.

Sarà forse per questo che a lungo si è dovuto attendere prima che, nel 2014, un’importante casa editrice, quale la Limmat di Zurigo, consegnasse ai lettori una pubblicazione antologica dedicata al suo singolare percorso; Zweiter Traum / Secondo sogno, questo il titolo del volume a cura di Roger Perret, è, tuttora, un importante riferimento per chi volesse conoscere l’opera beltramettiana. A quel primo tassello si aggiunge, adesso, il notevole lavoro proposto da L’orma editore con Il viaggio continua. Opere scelte, a cura di Anna Ruchat.

Credo che in un universo convulso e, sovente, esasperatamente sovraffollato come quello dell’odierna editoria l’operazione della Ruchat sia, davvero, un evento notevole: finalmente il lettore di lingua italiana ha modo di abbracciare, con un solo sguardo, il vivace percorso di uno scrittore originale, le cui singolarità rifuggono ogni riduttiva definizione.

Con le sue oltre cinquecento pagine, Il viaggio continua è una sorta di baule da prestigiatore nel quale, come per incanto, sprofondano scale a chiocciola, si aprono botole e sportelli magici. L’intento – riuscitissimo – è quello di offrire una scelta sufficientemente significativa di opere che renda giustizia al poliedrico agire dell’autore. Si comincia, quindi, con la prima silloge, pubblicata da Adriano Spatola presso le Edizioni Geiger a Torino nel lontano 1970, Uno di quella gente condor, per approdare, infine, alla bellissima Recent Work, raccolta uscita postuma nel 1996.

Tra questi estremi proliferano mille altre iniziative, e alcune, oltre a essere oggi poco conosciute e di difficile reperibilità, sono sorprendenti per bellezza e forza. Mi riferisco, in particolare, alle prose di Nadamas (1971) e al notevole mini-romanzo sperimentale Quarantuno (1977); alle poesie che compongono le sillogi Un altro terremoto (1971) e E allora (1982); agli aforismi raccolti in Perché A (1995). Se la scrittura di Beltrametti, come accennato precedentemente, ha qualcosa di volutamente effimero – come se il caso (che il poeta definiva un «angelo trasversale» capace di affrancare l’uomo dalla schiavitù della vita prestabilita) ne governasse l’andamento – va pure detto che essa, in virtù della sua natura «gestuale», possiede al contempo una concretezza che sembra tendere alla densità del puro segno.

Molti gli esempi in questo senso; si vedano composizioni quali Sonettoh ah Amsterdam («ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah / oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh oh» etc.) o i telegrafici versi «à / la / recherche / du / fil / invi / sible». Ma al di là della sua fisionomia visiva – non va dimenticato che Beltrametti era, di formazione, architetto – questa poesia sembra sempre attraversata, anche, dalla forza vitale che l’ha generata; come se la parola, qui, fosse il frammento di uno specchio rotto da un sasso – un frammento che racconta, appunto, l’istante dell’impatto: «Un ramo di pino / soffiato in giù – / il maestro Fo Yin e Su Tung P’o / scrissero il lamento // del-ramo-di-pino-caduto. // Alle 2 di notte, / North Chorro Street / il vetro / della finestra in cucina / è andato in mille pezzi. / Entra più aria e più vento».

È, questa, un’opera permeata, oltre che da infinite peregrinazioni, dai molti incontri che ne costellarono l’itinerario; fra i nomi, oggi leggendari, che affollano l’antologia – Burroughs e Ginsberg in primis – troviamo quelli degli esponenti della neoavanguardia italiana, affiancati da altri importanti amici-collaboratori così come da alcune figure di rilievo nel panorama culturale elvetico. Si tratta, quindi, di un libro che possiede anche il raro dono di far rivivere, ai nostri occhi, un mondo ora perduto: quello di una generazione di irregolari, «festosi dissipatori della propria vita e del proprio talento» di cui Franco Beltrametti, come scrisse Dario Villa, era uno degli ultimi, eroici esponenti.