Un favoloso tesoro di capolavori: così era stata definita la collezione di oltre 1500 opere d’arte ritrovate in un appartamento a Monaco, nel febbraio 2012, e in parte in una successiva perquisizione di un appartamento a Salisburgo due anni dopo. Fra queste in effetti figuravano opere firmate da maestri dell’arte moderna come Chagall, Matisse, Kirchner, Kandinsky, Picasso, che Cornelius Gurlitt aveva ereditato nel 1956, dopo la morte del padre Hildebrand. Non un nome qualunque, ma quello di Hildebrand Gurlitt, noto anche come «il mercante d’arte di Hitler». Figura controversa, se si pensa che il suo ruolo di difensore e promotore dell’arte moderna in qualità di direttore di museo e di presidente dell’associazione delle belle arti gli era costato per ben due volte il posto di lavoro, dapprima a Zwickau e poi ad Amburgo; eppure a un certo punto lo si ritrova a collaborare per il regime nazionalsocialista: su incarico del ministro della propaganda Goebbels, Hildebrand Gurlitt fu autorizzato a vendere opere d’arte confiscate nei musei tedeschi all’estero, ma anche a comprarle sottocosto, dopo essere state sottratte a famiglie di ebrei. Una collezione di quadri, ma soprattutto di opere su carta, che il figlio Cornelius, di formazione restauratore, ha conservato nel suo appartamento per oltre mezzo secolo. Fino al giorno in cui è stato fermato su un treno e trovato in possesso di una elevata somma di denaro: a quel punto ulteriori verifiche da parte delle autorità portano alla clamorosa scoperta. Ma i colpi di scena non finiscono qui. Gurlitt si sente perseguitato e trattato ingiustamente dallo Stato tedesco; teme per la sua collezione e alla sua morte, nel maggio del 2014, il testamento rivela la volontà di lasciare in eredità l’intera collezione al Kunstmuseum di Berna.
Ma perché Berna? Se lo sono chiesti in molti. A questa domanda ha tentato di fornire una risposta uno dei numerosi libri dedicati al «caso Gurlitt»: Der Gurlitt-Komplex, autori tre giornalisti, che hanno ricostruito una rete di relazioni fra il collezionista tedesco e la Svizzera, trovando le prove di una lunga relazione commerciale fra Cornelius Gurlitt e il gallerista e mercante d’arte bernese Eberhard Kornfeld (fitta corrispondenza), che per trent’anni ha venduto le sue opere per sopravvivere (ricavando 1,3 milioni di franchi sulla vendita di 19 opere), ma anche con il suo concorrente, il mercante d’arte Roman Norbert Ketterer, titolare di una galleria d’arte a Campione d’Italia per molti anni. Le uniche deviazioni del solitario e riservato Cornelius Gurlitt, che conduceva la sua vita facendo il pendolare fra Monaco e Salisburgo, erano i suoi viaggi in Svizzera, a Zurigo, ma soprattutto a Berna, dove uno zio era professore universitario di storia dell’arte. Ci sono tracce anche di una visita di Kornfeld e Gurlitt al Kunstmuseum di Berna alla fine degli anni Ottanta. Tutti indizi che fanno apparire la capitale elvetica come la soluzione più ovvia per il collezionista tedesco. Sullo sfondo si delinea un mercato dell’arte improntato alla discrezione più assoluta e piuttosto disinvolto rispetto alla provenienza delle opere d’arte, almeno fino agli anni Novanta. Le volontà testamentarie di Gurlitt mettono il museo di Berna in una posizione non facile: non soltanto per la battaglia giuridica intentata al Kunstmuseum dai famigliari che contestano il testamento di Cornelius, ma anche perché su molte di queste opere pesano i sospetti di essere state rubate. Berna accetta la donazione, raggiungendo un accordo con le autorità tedesche e lo Stato della Baviera che potrebbe diventare un modello in futuro: una decisione salomonica, è stata definita, prevede che in Svizzera giungano soltanto le opere non incriminate. Fra queste molte opere classificate all’epoca come «arte degenerata», sottratte ai musei tedeschi, in particolare a partire dal 1937, data della grande mostra di Monaco. Mentre in Germania resteranno tutte le altre opere, trafugate o sulle quali s’ipotizza la spoliazione. A cinque anni dal ritrovamento le ricerche sulla provenienza incontrano ancora difficoltà: solo per una decina di opere si è confermato il «bollino rosso», qualcuna è già stata restituita ai legittimi proprietari, come per esempio il dipinto Inneres einer gotischen Kirche di Adolph von Menzel o La femme assise di Henri Matisse, reso ai discendenti del mercante d’arte Paul Rosenberg.
Ma dopo le battaglie nei tribunali, ora la parola va agli storici dell’arte. L’attenzione mediatica e le aspettative del pubblico sono altissime. Qual è il valore artistico di questa collezione? Il primo lotto di circa 220 opere arrivate a Berna – per lo più su carta – conferma una collezione forse non di capolavori, ma certamente di grande qualità, ha spiegato la direttrice del museo Nina Zimmer. Da luglio l’équipe di restauratori, conservatori e ricercatori lavorano a stretto contatto e senza sosta per preparare la mostra che si inaugura il 2 novembre. Il tempo stringe e le informazioni da raccogliere sono molte. Senza contare i danni che hanno subito carte e dipinti rinchiusi per decenni in un appartamento: nelle sale espositive adibite eccezionalmente ad atelier di restauro, le opere d’arte dopo un periodo di quarantena passano sotto la lente dei restauratori, che lavorano dietro grandi vetrate. Sono state persino organizzate visite guidate per il pubblico nei laboratori. Si capisce subito che la parola d’ordine al Kunstmuseum di Berna è trasparenza: come ha assicurato la direttrice Nina Zimmer «non ci sono segreti, faremo le cose insieme al pubblico». Se nell’esposizione parallela allestita alla Bundeskunsthalle di Bonn (visibile a Berna in primavera), i curatori metteranno l’accento sulle opere che meglio raccontano i destini dei loro proprietari, perseguitati dallo Stato nazista, mentre a Berna si punterà sull’arte degenerata.
Il caso Gurlitt, non c’è dubbio, ha portato il dibattito sull’etica dei musei a un livello superiore: non è più sufficiente dire che esistono delle lacune, ora è doveroso approfondirle e possibilmente colmarle. Nei musei svizzeri regna una nuova consapevolezza: molti, anche grazie agli aiuti stanziati dalla Confederazione, hanno promosso progetti di ricerca sulla provenienza, dal Museo Rietberg a Zurigo, passando da Kunstmuseum di Lucerna, a Losanna e Ginevra. Progetti che vertono sulle collezioni permanenti, in particolare sulle acquisizioni degli anni Trenta e Quaranta. Ma forse, in alcuni casi non sarà mai possibile avere tutte le risposte, una realtà con la quale ogni istituzione pubblica dovrà d’ora in poi fare i conti, in gioco ci sono reputazione e credibilità.